la Repubblica, 13 febbraio 2015
Sono cinque i padroni delle rotte del traffico dei migranti. Organizzano le traversate nel deserto, comprano vecchi gommoni e li fanno partire anche se in mare le onde sfiorano i dieci metri. Di loro la polizia italiana conosce tutto: nomi e cognomi, nazionalità, dove vivono, come parlano al telefono, quanti soldi chiedono per i viaggi, con quali gruppi jihadisti si sono messi in affari. Ma l’Europa non li può arrestare, perché in Libia non c’è alcuna autorità a cui affidarne la cattura
Ci sono cinque uomini in Libia che hanno in mano il traffico dei migranti verso l’Italia. Sono i capi: organizzano le traversate nel deserto, comprano vecchi gommoni e li fanno partire anche se in mare le onde sfiorano i dieci metri. Di loro la polizia italiana conosce tutto: nomi e cognomi, nazionalità, dove vivono, come parlano al telefono, quanti soldi chiedono per i viaggi, con quali gruppi jihadisti si sono messi in affari. Ma l’Europa non li può arrestare, perché in Libia non c’è alcuna autorità a cui affidarne la cattura.Eremias Gheremy, l’etiope, è uno dei cinque. Dalle indagini del Servizio centrale operativo e delle Squadre mobili siciliane risulta che sia lui a controllare «la rotta classica», quella che dalla Somalia arriva a Tripoli passando per Etiopia, Sudan e lo snodo di Kufrah. Tutti i suoi connazionali in fuga da Nekemte, da Debre Markos o da Dessie, devono fare i conti con lui. Chiede dai 3mila ai 5mila dollari per il viaggio fino in Italia. Ha legami con gruppi di beduini che accompagnano le carovane attraverso il Sahara, dove centinaia di uomini, donne e bambini muoiono ancor prima di vedere il Mediterraneo. Ed è ritenuto responsabile del naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa: quel peschereccio sgangherato con a bordo 500 migranti l’aveva preparato lui. Eppure, Eremias Gheremy vive sereno a Tripoli, nonostante l’ordinanza di arresto emessa dalla Dda di Palermo nel luglio scorso.La stessa libertà di cui gode il suo “socio” John Mahray, sudanese, sul quale pende un altro, inutile, mandato di cattura. I poliziotti li hanno ascoltati al telefono, subito dopo la tragedia di Lampedusa. «Dobbiamo essere più prudenti, non mettere più di 250 persone sui barconi», diceva John, che per l’organizzazione criminale ha il compito di reperire migranti sudanesi. «Avevano tutti fretta di partire», ribatté Eremias, spiegando che il proprietario della “Mezrea”, un casolare in campagna dove aveva radunato i profughi da settimane, «ci voleva cacciare via».La Libia fotografata dai rapporti dello Sco è anche questa. Un marasma di katibe ( bande di miliziani) in lotta, senza un vero governo, dove i trafficanti, sudanesi, eritrei, etiopi, palestinesi, si sono impossessati delle coste della Tripolitania. «Nei porticcioli tunisini comprano i gommoni e i vecchi pescherecci – riferisce un investigatore – con i libici si mettono d’accordo per sistemare i migranti: prendono in affitto abitazioni sulla spiaggia oppure occupano quelle abbandonate. I clandestini devono pagare 500 euro a settimana per nascondersi. La polizia libica? Non esiste più. Chi sbarca in Italia talvolta racconta di essere stato minacciato da agenti armati in divisa, ma in realtà sono paramilitari che fanno le ronde con i pick uplungo le coste oppure semplici cittadini camuffati».Attorno ai cinque, impuniti, signori del traffico di uomini, girano infatti centinaia di soggetti che vogliono una fetta della torta. Che con i disperati in fuga verso l’Europa si facciano i soldi, ormai in Libia l’hanno capito tutti. È chiaro agli abitanti che affittano le case, ai negozianti che prendono i clandestini a lavorare per consentire loro di pagarsi il “biglietto”, agli estremisti islamici legati all’Isis. Sì, pure a loro. Da un rapporto dell’ intelligence italiana viene fuori la figura dell’islamista Abdel Raouf Kara, leader di un gruppo di 900 fighters. «Nella fascia costiera della zona di Gharabullim, a est di Tripoli – si legge – comanda una katiba a forte connotazione jihadista guidata da Kara che, in contrapposizione a quella di Zintane, si è inserita nel business dell’immigrazione clandestina per autofinanziarsi». Lo stesso sta accadendo nell’area di Bengasi, a pochi chilometri di distanza da Derna, avamposto del Califfato di Al Baghdadi nel Mediterraneo.Le carte delle inchieste, inoltre, raccontano un aspetto che, da solo, demolisce la polemica sulla reale efficacia di Mare Nostrum e Triton. I trafficanti non interrompono mai i viaggi, li modulano a seconda del dispositivo di difesa dei confini deciso dall’Italia e dall’Unione Europea. Un esempio? Al tempo di Mare Nostrum, si è scoperto dalle intercettazioni, erano arrivati a offrire uno sconto ai migranti perché le navi della Marina militare erano vicinissime alle coste libiche e la traversata più breve.