Corriere della Sera, 13 febbraio 2015
Questioni di privacy. Tra internet, telecamere, registrazioni, misure di sicurezza, liste dei conti in Svizzera e multe ai clienti delle prostitute, cosa rimane di questo sedicente diritto?
Uno vorrebbe sapere quanto guadagna il direttore dell’aeroporto di Trieste, società a controllo pubblico. Non si può, c’è la privacy. Poi va a Roma, prende un taxi privato, i cosiddetti Ncc. E scopre che, se arriva da fuori città, il conducente deve mandare al Comune un fax con nome e cognome del cliente, itinerario, persino orario degli spostamenti. E la privacy?
Uno vorrebbe sapere quanto prende di pensione un parlamentare europeo. Non si può, c’è la privacy. Poi va sul sito Internet di un Comune italiano, tipo Casacalenda, in Molise. E scarica i nomi delle persone in Tso, il Trattamento sanitario obbligatorio, definite «affette da manifestazioni di tentativi di suicidio». E la privacy?
Un valore «double face»
L’abbiamo visto in questi giorni, mentre la cronaca passava dalla lista dei conti in Svizzera alle multe a casa dei clienti delle prostitute. La privacy è sempre stato un diritto double face: insopprimibile quando riguarda noi, un capriccio se tocca gli altri. Spesso invocata a vanvera, a volte calpestata senza problemi. E adesso tendenzialmente in difficoltà, in ritirata davanti alle superiori esigenze della sicurezza e della trasparenza. Non è solo un ragionamento di pancia. Anche il segretario della Conferenza episcopale italiana, monsignor Nunzio Galantino, ci è andato giù pesante: «Mi chiedo a che cosa serva l’Authority per la privacy. Se bisogna tagliare degli enti inutili, eliminerei questo». La risposta dell’Autorità è stata facile: «Sarebbe come eliminare la polizia perché ci sono ancora i ladri». Ma la domanda rimane intatta. A cosa serve davvero la privacy? Quali dati personali vanno tutelati ad ogni costo e su quali invece si può «cedere»? A che altezza bisogna mettere l’asticella che segna il limite tra le garanzie per i singoli e gli interessi della collettività? «Non c’è una risposta buona per tutti i problemi, un unico algoritmo risolutivo», dice il Garante della privacy Antonello Soro, ex parlamentare del Pd, che da due anni siede sulla poltrona che fu di Stefano Rodotà. E allora fra successi e insuccessi il catalogo (della privacy) è questo.
Sicurezza
Il dibattito è incagliato sul Pnr, la schedatura completa di chi fa un viaggio aereo. Il sistema funziona già negli Stati Uniti ma non in Europa, dove diversi Paesi sostengono che violerebbe la privacy. Si è scesi da cinque a tre anni come tempo massimo di conservazione dei dati. Ma non basta. Schedatura completa vuol dire sapere quali erano i tuoi vicini di poltrona, quanto pesavano i tuoi bagagli, se hai scelto un menu vegetariano o musulmano. Un’intrusione inutile, perché un jihadista che volesse replicare l’11 settembre non sarebbe così ingenuo da evitare la carne di maiale? Ma forse una misura efficace visto che negli Stati Uniti, dopo quello alle Twin Towers, non ci sono stati più attacchi del genere. Su questo punto, però, il Garante ribalta il ragionamento: «Anche i terroristi usano lo spazio digitale per acquisire informazioni. E allora più dati metti in rete più allarghi la superfice d’attacco». Secondo lui, la privacy non è il contrario della sicurezza. Anzi, è un pezzo della sicurezza e della libertà: «Se raccogliamo informazioni e poi non le sappiamo proteggerle stiamo facendo un regalo ai terroristi».
Banche
È la materia della quale si occupò il Garante al suo debutto, nel 1997. Allora il problema era il consenso al trattamento dei dati personali, quelle caselline che negli anni ci siamo abituati a barrare sul no per respingere telefonate, spam e altre variazioni sul tema del marketing aggressivo. In Italia non ci sono le liste segrete alla Falciani. Ma la privacy e il suo garante sono stati spesso accusati di «bloccare» i controlli del Fisco. Sul redditometro, lo strumento anti evasori, è stata proprio la privacy a frenare perché all’inizio il sistema informatico non garantiva la tracciabilità, cioè non conservava nomi e orari di chi era entrato nelle banche dati. Pignoleria? Insomma. Una volta che un numero esce dal «cervellone» c’è il rischio di perderne il controllo. Nell’era di Vincenzo Visco l’Agenzia delle Entrate pubblicò le dichiarazioni dei redditi di tutti gli italiani. Il sito venne oscurato dopo poche ore, ma nel frattempo le tabelle erano già state copiate da un esercito di smanettoni. E per mesi spuntarono siti che, per dieci euro, ti dicevano quanto prendeva il tuo vicino di casa.
Trasparenza
È l’altra «rivale» della privacy. Da due anni tutte le persone che ricoprono un incarico pubblico sono tenute a mettere sul sito Internet della loro amministrazione la dichiarazione dei redditi e il loro stato patrimoniale, cioè le case, le macchine e le azioni che possiedono. Giusto per i politici, anzi strano che prima non fosse così. Forse meno giusto che lo stesso obbligo riguardi chi sta molto più in basso nella scala del potere: il rappresentante degli studenti eletto al Senato accademico della sua università deve mettere dichiarazione dei redditi e stato patrimoniale come fosse Matteo Renzi. Anzi, visto che la regola si applica anche ai parenti, ci deve pubblicare anche quella dei genitori e dei nonni. Ha senso?
Le sentenze
L’estate scorsa la Cassazione ha messo sul proprio sito internet tutte le sentenze civili degli ultimi cinque anni, con tanto di motore di ricerca per parola chiave, compresi nomi e cognomi. Anche questa una scelta di trasparenza che, nel rispetto della legge, rischia però di trasformare il carattere pubblico delle sentenze nella possibilità di spiare le vite degli altri comodamente seduti davanti al pc di casa. Il Garante ha scritto alla Cassazione per cercare insieme un correttivo. La risposta è arrivata pochi giorni fa. Sul sito, adesso, non ci sono solo le sentenze civili ma anche quelle penali, sempre con ricerca per nome e cognome. L’unica differenza è che sono state «deindicizzate»: se usi Google per cercare informazioni su una persona, le sentenze non compaiono più nella schermata iniziale.
Internet
Ormai è proprio Internet il vero terreno sul quale giocare la partita. Due giorni fa Facebook ha annunciato che raccoglierà i dati di navigazione degli utenti anche quando non sono connessi al social network. Saprà tutto di noi. E sempre pochi giorni fa il Garante della privacy ha annunciato che sono state finalmente adottate delle misure di sicurezza per i tre Ixp nazionali, gli snodi delle rete informatica. Per entrare in quello di Roma, in un seminterrato vicino alla stazione Termini, bastava scavalcare una ringhiera alta mezzo metro. Forse già sapevano tutto di noi. Il web, del resto, è sempre stato nel destino della privacy. Nel 1996 fu proprio la Rete, intesa come il partito di Leoluca Orlando, ad appoggiare la candidatura alternativa a quella di Stefano Rodotà, che avrebbe poi vinto a mani basse. Era un comico che, nei suoi spettacoli, di privacy parlava spesso: Beppe Grillo.