La Stampa, 13 febbraio 2015
I dieci anni di YouTube, il social che ha consentito a tutti di pubblicare un video in rete. Così l’umanità contemporanea produce in proprio il resoconto di sé stessa
Nessuno dica ancora «grazie alle nuove tecnologie», soprattutto quando si accorge che un video pubblicato in rete, da un utente totalmente sconosciuto, è diventato un evento per il mondo intero. In realtà non c’è più nulla da considerare tecnologicamente nuovo in YouTube, che in questi giorni celebra il suo decimo compleanno.
Il marchio nasce il 15 febbraio 2005 da tre ragazzi californiani, Chad Hurley, Steve Chen e Jawed Karim, nemmeno trentenni e abbastanza smanettoni da immaginare un sistema facile e immediato che permettesse a chiunque di condividere video on line.
Una nuova epica
Il numero zero, Me at the Zoo, vide però la luce il 23 aprile e fu Karim a produrlo: nulla di veramente significativo, in 19 secondi di streaming video c’era l’equivalente di quello che si sarebbe potuto leggere nei pensierini di una scolaresca in visita allo zoo. Il senso dell’operazione tuttavia era chiaro sin dall’esordio: qualunque banale istante della vita può trasformarsi in un momento epico, purché abbia una ribalta dove possa essere riprodotto e condiviso.
Dopo quel video sulle proboscidi degli elefanti, per ogni minuto che passa vengono oggi caricate 300 ore di memoria dell’esistenza di individui dei quali nessuno probabilmente passerà alla storia, ma di cui comunque resterà una traccia visibile on line. Questo cambierà notevolmente anche la percezione della storia nella memoria collettiva. Non è indifferente che l’umanità contemporanea stia producendo un resoconto autonomo di se stessa che, nel bene o nel male, rappresenterà una fonte di analisi del nostro tempo per i posteri. Farà più fede quello che di noi racconteranno i testi ufficiali, di coloro che da sempre sono stati i mediatori dei resoconti storici, o il caotico, informe e frenetico assommarsi quotidiano di microstorie individuali? Potrebbe forse in un remoto futuro sorgere il problema di una nuova «questione omerica» riguardo a chi siano stati i reali autori dell’epica dei nostri giorni?
Basta avere faccia tosta
Certo è che prima di YouTube il senso di una storiografia individuale era ben diverso, i supporti della memoria delle persone non baciate dalla celebrità erano relegati a misere cineteche domestiche, al massimo un cassetto che poteva contenere nastri o bobine. Occorreva allestire uno spazio di riproduzione, un proiettore, uno schermo, fare buio in una stanza di casa, mettere sedie, preparare gli spettatori con commenti eccetera.
In tempi più recenti il diffondersi delle camere digitali può anche avere velocizzato la produzione dei video autoprodotti, ma alla fine la condivisione avveniva sempre secondo una liturgia tradizionale, dal televisore di casa invece che proiettati su una parete, ma ancora per un circolo ristretto di persone, in genere del giro dei familiari e conoscenti.
Internet ha cambiato notevolmente le cose, ma prima che inventassero YouTube l’idea di pubblicare un proprio video su uno spazio personale non apparteneva alle consuetudini comunemente diffuse, piuttosto richiedeva una motivazione «editoriale» e comunque una minima conoscenza di strumenti tecnici di riversamento, codifica e pubblicazione del file. Con YouTube scompare la necessità di competenze specifiche, basta avere faccia tosta e spregiudicatezza per esistere videoriprodotti.
Eternità digitale
Naturalmente negli ultimi anni tutto è diventato ancora più facile: da una parte i social media hanno risucchiato in un limbo parallelo una fetta enorme di umanità, che improvvisamente si è trovata con le reciproche vite in condivisione perenne. Questo ha accentuato il desiderio di rappresentarsi per acquisire prestigio e quindi percentuali d’esistenza sempre più consistenti. Comunicarsi è diventato un obbligo per assicurarsi la salvezza (quasi) eterna della propria anima digitalizzata.
Lo smartphone infine è diventato il passepartout che permette a ognuno di celebrarsi in ogni istante della vita. Non ci sono più limiti all’archiviazione della nostra esistenza nel tempo digitale, la protesi più preziosa per garantirci la conservazione del mito di noi stessi è il telefono che teniamo sempre in mano. Basta dare un ok sull’iconcina con il logo di YouTube e mettere un titolo, avremo l’immediata certezza che quel brandello d’esistenziale velleità sarà strappato all’oblio e forse persino ci sopravvivrà come nostra ombra digitale.