La Stampa, 13 febbraio 2015
World Press Photo, un amore gay in Russia è l’immagine dell’anno. Per il concorso fotografico oggi la trincea di prima linea è il privato degli omosessuali perseguitati e discriminati
Ricordiamo ormai la storia contemporanea attraverso le foto, ma le foto ci danno sempre solo un frammento delle tragedie in corso. Il primo febbraio 1968, in una strada di Saigon, il fotografo dell’agenzia AP Eddie Adams riprende il capo della polizia sudvietnamita Nguyen Ngoc Loan che giustizia con un colpo di revolver alla tempia il guerrigliero vietcong Nguyen Van Lem. Il volto storpiato dalla smorfia dell’agonia mobilita l’opinione pubblica per la pace, ma a lungo Adams farà mea culpa: «Van Lem era il capo dei giustizieri vietcong, aveva freddato anche quel giorno dozzine di civili innocenti, e questo nella mia foto non si vede».
Se un parziale fotogramma poteva trasformarsi in sentenza assoluta già nel 1968, nel 2015 dei social media l’impatto è ubiquo. Sfogliando le, per lo più splendide, immagini premiate dal World Press Photo 2015 val dunque la pena di riflettere su quel che «non» ci mostrano, per evitare tardivi pentimenti alla Adams, e insistere a cercar le radici profonde delle crisi di cui – spesso a prezzo di sacrifici o della vita, come l’italiano Andrea Rocchelli sul fronte ucraino – son testimonianza.
Tra mezzo secolo cosa penseranno i nostri nipoti davanti alla foto numero uno di Mads Nissen, set dalla luce caravaggesca che riprende due amanti gay, Alex e Jon, in un momento di abbandono a San Pietroburgo? Qualcuno storcerà il naso, chiedendosi se il premio non toccasse piuttosto a Bulent Kilic, per la sua foto della guerra che la coalizione alleata muove all’Isis in Iraq, o a Jerome Sessini per il corpo dell’ucraino trucidato dalle milizie filorusse, che, come nella canzone di De Andrè «Dorme sepolto in un campo di grano». Per i giurati la trincea di prima linea nel nostro mondo è invece il privato. Non è forse sulle nozze gay che l’America sta dividendosi in Alabama come ai tempi della battaglia per i diritti civili, con la Corte Suprema dello Stato a dir di no alle unioni omosessuali e il magistrato federale ad autorizzarle? Non è proprio, sembrano argomentare i giurati del Wpp, dando addosso agli omosessuali, perseguitando le chiassose ma innocenti musiciste Pussy Riot, ammantandosi da protettore della Chiesa Ortodossa – a lungo perseguitata dai suoi ex colleghi Nkvd e Kgb – che il leader russo Vladimir Vladimirovic Putin cerca a Mosca legittimità per la sua politica estera aggressiva?
Le altre immagini sono quelle che l’annuario del dolore sul pianeta Terra fa presagire, bambini morti a Gaza, umiliazioni in Cina, i poverissimi grembiuli delle studentesse rese schiave in Nigeria da Boko Haram e subito dimenticate, una dimostrante fermata in Turchia dai poliziotti di Erdogan, la ragazza umiliata in Cina, un barcone di migranti ripreso dall’alto in navigazione verso la Sicilia, infelici che, mentre piangiamo le vittime dell’ultimo naufragio, possiamo ritenere «fortunati».
La palma della giuria Wpp va agli amanti di Mads Nissen, giusto nel giorno in cui a Minsk si raggiunge una fragilissima, effimera, tregua tra russi, ucraini ed europei, che Putin può mandare in frantumi prima ancora che si completi il ritiro dell’artiglieria, e in cui intanto la Grecia, stremata dall’austerità europea, agogna un accordo di rientro dal debito senza dissanguarsi. I giurati non hanno dubbi, la frontiera centrale passa dai diritti privati ormai, ancora e prima che dalla guerra di movimento tra oppressi e oppressori. «Leviathan», il bel film del regista russo Andrey Zvyagintsev, diventa icona di resistenza a Putin, malgrado il suo autore si sgoli a considerarlo non politico, mostrando come il regime di Mosca, con il suo autoritarismo e corruzione, non solo priva dei diritti civili i cittadini, ne rende impossibile la vita privata, familiare, la felicità domestica. Lo scrittore Grossman nel capolavoro «Vita e destino» (Adelphi) e lo storico Paul Ginsborg nel saggio «Famiglia Novecento» (Einaudi) indicano nella famiglia il luogo discreto in cui, proteggendo l’aspirazione alla felicità, si custodiscono in segreto dall’occhiuto potere politico, dignità, identità, rispetto, amore. Ieri in un villaggio rurale con la patriarcale famiglia alla Tolstoj, oggi in una disadorna camera da letto della metropoli che si chiamò una volta Leningrado.