Corriere della Sera, 13 febbraio 2015
Dopo vent’anni di malapolitica su Mps lo Stato incasserà 700 milioni. A luglio la banca pagherà con il 5% di azioni i 243 milioni di interessi sui Monti bond che deve al Tesoro. Così, senza stravolgimenti nell’azionariato, a fine aumento lo Stato si ritroverà primo socio di Mps. E la sola notizia ha portato l’istituto senese a un +18%
C’è una storia poco conosciuta che svela molto su come la politica abbia influito – male – nelle vicende del Montepaschi. A fine 2006 la banca senese fu a un passo dal fondersi con la spagnola Bbva. La Fondazione Mps, che allora aveva la maggioranza assoluta di Rocca Salimbeni, sarebbe diventata primo socio al 12% di un autentico colosso europeo. Tutta la politica locale – il sindaco pd Maurizio Cenni, il presidente della Provincia Fabio Ceccherini, il deputato poi diventato sindaco Franco Ceccuzzi e l’allora presidente della banca (e già della Fondazione) Giuseppe Mussari – sembravano aver dato l’ok. L’accordo era così vicino che la Fondazione aveva incaricato gli avvocati di scrivere il contratto. Ma all’improvviso tutto saltò.
Come ha svelato ai pm senesi l’ex direttore generale della Fondazione, Marco Parlangeli, il presidente dell’ente Gabriello Mancini al telefono «mi disse di non riprendere le trattative (con Bbva, ndr ) perché era stato stoppato dalle istituzioni locali. Dopo alcuni giorni venni a sapere dal deputato della Fondazione Carlo Ceccarelli che il sindaco Cenni aveva deciso che l’operazione con Bbva non si doveva fare e che avrebbe imposto ai deputati che facevano a lui riferimento... di votare contro in Deputazione», che è l’organo di governo dell’ente.
Il destino di Mps avrebbe potuto essere un altro. Invece l’esigenza di controllo del «Babbo Monte» spinse la politica a cambiare rotta. Era il periodo in cui Siena era governata dal «groviglio armonioso» e il Pd locale era di fatto un’enclave all’interno dello stesso partito, una specie di Repubblica autonoma. Che decise: meglio comprare nel 2007 Antonveneta, sia pure per 9 miliardi in contanti, piuttosto che perdere il controllo assoluto su Mps, la grande mammella dalla quale la città in quindici anni ha ottenuto poco meno di 2 miliardi di euro di dividendi distribuiti a pioggia su tutto il territorio, anche ad amici, raccomandati politici, clientes. Gli stessi cui Mps ha garantito prestiti che poi non sono riusciti ad onorare, gonfiando il bubbone dei crediti inesigibili. Quelli di cui Mps, anche a causa della crisi, è quasi morta.
Ora, dopo sette anni in cui è cambiato il mondo, si riparte da zero. E il Tesoro, a vent’anni dalla privatizzazione di Mps, a luglio rientrerà nel capitale. Lo farà per un motivo tecnico: avendo chiuso con 5,4 miliardi di perdite a causa di 8 miliardi di svalutazioni su crediti, Mps non può pagare in contanti i 243 milioni di interessi sui Monti bond. Dunque li remunererà in natura, cioè in azioni.
Al Tesoro dovrebbe andare il 5% circa del capitale. La quota esatta dipenderà dal prezzo dell’aumento fino a 3 miliardi chiesto dal presidente Alessandro Profumo e dall’amministratore delegato Fabrizio Viola. In soli 27 mesi, dal febbraio 2013 al luglio 2015 – quando verrà rimborsato il miliardo residuo di prestito – sui 4,07 miliardi di aiuti di Stato il Tesoro avrà guadagnato quasi 700 milioni. Più che un regalo di soldi pubblici, si è rivelato un investimento quasi da hedge fund.
Senza stravolgimenti nell’azionariato, a fine aumento lo Stato si ritroverà primo socio di Mps. Che farà di quelle azioni? A Siena sono fiduciosi che verranno liquidate presto per fare cassa. Ma a Roma non sembra siano già state prese decisioni sulla partecipazione. Anzi il fatto che la sola notizia del futuro ingresso del Tesoro abbia fatto guadagnare a Mps fino al 18% in un solo giorno, potrebbe invogliare all’attesa. Inoltre il prossimo varo della «bad bank» annunciato dal governo Renzi e la riforma delle Popolari che potrebbe favorire un’aggregazione nazionale che sarebbe ben vista dall’esecutivo, sono altri fattori che possono dare un’ulteriore spinta al titolo. Ma se il Tesoro restasse nel capitale potrebbe porsi un tema di governance, visto che il primo socio non avrebbe propri rappresentanti nel consiglio che sarà eletto ad aprile.