La Stampa, 13 febbraio 2015
La prova di forza sulle riforme tra Pd e M5S, una lunga e travagliata notte in Parlamento. Niente intesa coi grillini, che contestano la seduta-fiume: «Nazisti». E la minoranza democratica minaccia: «Pronti a votare le nostre proposte»
«Stiamo facendo una seduta-fiume… carsico», scherza la deputata dem Cristina Bargero a sottolineare una delle varie pause tecniche concesse ieri durante i lavori sulla riforma costituzionale, in una giornata segnata da discussioni a rilento e infinite diatribe procedurali. Tra le proteste delle opposizioni, con urla e cori dei Cinque stelle contro la presidente Boldrini («serva-serva»), nella notte di mercoledì l’aula della Camera ha dato l’ok alla richiesta della maggioranza di procedere con un’unica seduta a oltranza per arrivare alla fine degli emendamenti. «Di notte lavorano i ladri di appartamenti, non si cambia la Costituzione», si legge sul blog di Grillo: sdegnati i parlamentari grillini, che sono in aula ma non partecipano al voto, e fanno un duro ostruzionismo. Arrivando (lo fa Manlio Di Stefano) a paragonare il Pd versione Renzi al «nazismo del XXI secolo», accompagnato da foto di Mussolini con logo del Pd, e a interrogarsi sull’ipotesi di occupare l’aula. Mentre da Forza Italia, il capogruppo Brunetta chiede l’intervento del presidente della Repubblica Mattarella.
Manca il numero legale
Alle nove la giornata inizia subito male: qualcuno è in bagno, altri a prendere un caffè, morale: per due voti viene a mancare il numero legale. Nel Pd scatta l’allarme, gli assenti vengono rimbrottati, gira voce di una certa irritazione della presidente Boldrini per la sciatteria del Pd (se imponi la forzatura della seduta fiume, devi poi perlomeno garantire i numeri nell’aula, è il ragionamento).
La trattativa col M5S
Pausa di un’oretta e si ricomincia, ma ci saranno presto nuove sospensioni. Durante le quali Pd e governo cercano una mediazione con il M5S, l’unica opposizione che non ha ritirato gli emendamenti ostruzionistici. I pentastellati chiedono aperture su tre punti: la possibilità per le minoranze parlamentari di chiedere un controllo di costituzionalità preventivo su tutte le leggi, obbligo della Camera di esaminare le leggi di iniziativa popolare, eliminazione del quorum nei referendum. Ma è soprattutto su questo punto che ci si arena. «Siamo disposti a ritirare tutti i nostri emendamenti sulla riforma costituzionale se il Pd ci vota il referendum propositivo senza quorum», twitta Alessandro Di Battista. Il Pd non ci pensa proprio: «Le cose non condivisibili restano tali», taglia corto Ettore Rosato.
L’irritazione nel Pd
Ma mentre l’Aula si scalda, con la vicepresidente di turno Sereni vivacemente contestata (a un certo punto i grillini intonano «di-mis-sio-ni»), la maggioranza che tira dritto deve fare i conti anche al proprio interno. Perché dalla minoranza Pd torna la richiesta di maggiore ascolto: «Abbiamo chiesto un confronto su poche modifiche del ddl ma non c’è stata nessuna risposta», lamenta Alfredo D’Attorre, «ci aspettavamo che dopo la fine del patto del Nazareno cambiasse il metodo», ma non è così e la rigidità del governo non è solo «sbagliata», ma anche «comica e incomprensibile». Quel che può impensierire Renzi e la Boschi è la conseguenza del ragionamento: «Se continua così, ci sentiremo liberi di votare le nostre proposte in Aula, emergeranno le divergenze nel Pd», annuncia. I loro emendamenti arriveranno in aula oggi. Ieri sera una riunione con relatore e capogruppo doveva cercare un punto d’incontro che non aprisse pericolose (per i numeri) fratture nel gruppo. «Un po’ di buonsenso» del governo se lo augura anche l’ex segretario Pierluigi Bersani.