Corriere della Sera, 13 febbraio 2015
I punti dell’accordo: ritiro delle armi pesanti e delle truppe straniere, controllo delle frontiere all’Ucraina, Kiev è obbligata a ripristinare servizi bancari nelle regioni ribelli e a pagare pensioni e dipendenti pubblici, amnistia e immunità per i miliziani e liberazione dei prigionieri
L’accordo sulle province orientali dell’Ucraina, raggiunto ieri mattina a Minsk, indica scadenze precise per l’inizio della tregua e il ritiro delle armi pesanti dal fronte, ma rimane ambiguo quanto alla soluzione di cruciali nodi politici ed economici. Il precedente accordo, concluso il 5 settembre 2014 sempre a Minsk, andò in pezzi pochi giorni dopo essere stato firmato.
Armi pesanti
La tregua comincia dalla mezzanotte di domani. Le armi pesanti vanno ritirate tra 25 e 70 chilometri (dipende da calibro e gittata) dalla linea del fronte da entrambe le parti, in modo da creare una zona cuscinetto fuori dalla loro portata, larga da 50 a 140 chilometri. Questo dovrebbe assicurare ai separatisti il mantenimento del controllo su Donetsk. Il ritiro ucraino ha come riferimento il fronte attuale, quello dei separatisti parte dalle loro posizioni al 19 settembre 2014. Si dovrebbe cominciare lunedì e completare l’operazione in 2 settimane sotto il controllo dell’Osce.
Prigionieri
Tutti, di entrambe le parti, devono essere rilasciati entro 5 giorni dal completamento del ritiro delle armi pesanti. Poroshenko vuole soprattutto il rilascio di Nadezhda Savchenko, la top-gun ucraina da due mesi in sciopero della fame in una prigione russa, che Mosca accusa di essere coinvolta nell’uccisione di due giornalisti.
Truppe straniere
Soldati stranieri e mercenari dovrebbero lasciare l’Ucraina. Ma Mosca insiste di non controllarli, trattandosi di volontari. Tutte le truppe illegali dovranno comunque essere disarmate. Il monitoraggio spetta all’Osce.
Elezioni
Le regioni di Donetsk e Luhansk, che hanno votato a novembre, devono organizzare nuove elezioni secondo la recente legge ucraina, monitorate da osservatori internazionali. È un punto a favore di Poroshenko.
Controllo dei confini
Qui è Mosca a vantare un successo: il ritorno di Kiev al pieno controllo delle sue frontiere orientali è subordinato alla riforma costituzionale, che dovrà garantire un’ampia devolution alle regioni russofone (compreso il diritto a una forza di polizia e al libero commercio con la Russia) e comunque scivola alla fine del 2015. Mosca ha così una carta da giocare con Kiev, non ultimo invocando la sua neutralità internazionale. È tutto da vedere se il Parlamento ucraino accetterà il baratto e questo potrebbe rendere la clausola lettera morta.
Economia
Anche qui, punto a vantaggio dei russofoni. Kiev è obbligata a ripristinare i servizi bancari nelle regioni ribelli e a riprendere il pagamento di pensioni e salari ai dipendenti pubblici, inclusi medici e insegnanti, congelati sin da novembre.
Amnistia
Nessun procedimento penale potrà essere intentato da Kiev contro figure coinvolte nel conflitto delle province orientali
Debaltsevo
Non è nell’accordo, ma ne conferma i problemi. La città tra Donetsk e Luhansk è circondata dai separatisti, che chiedono alle truppe ucraine di arrendersi. Kiev si rifiuta. Nessuno sa come porre fine ai combattimenti.