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 2015  febbraio 13 Venerdì calendario

Ci sono volute sedici ore per un cessate il fuoco in Ucraina. Una vera e propria maratona dai toni accesi. Un negoziato colmo di tensione, a tratti «duro ed emotivo» e condotto sempre sul filo del fallimento, perfino quando il traguardo appariva vicino.Putin, Poroscenko, Hollande e la Merkel sono riusciti a mettersi d’accordo su i tredici punti che dovrebbero portare alla pace

Sono state 16 ore di estenuante maratona, qualcosa a metà tra una lunga mano di poker e un’infinita sfida di scacchi, dove bluff e crudi ragionamenti, toni accesi e minacce velate si sono alternati e sovrapposti. Un negoziato colmo di tensione, a tratti «duro ed emotivo» come ha ammesso il portavoce del Cremlino, disseminato di tutti i demoni che s’incistano nelle minuzie, condotto sempre sul filo del fallimento, perfino quando il traguardo appariva vicino. E quando a metà mattina i leader di Russia, Ucraina, Germania e Francia lo hanno varcato, anche l’iconografia del successo, annunciato dai protagonisti in tre conferenze stampa separate, ha reso tutte le riserve mentali, i nodi irrisolti e le distanze che rendono il compromesso fragile e disseminato di trappole, in grado di deragliarne la concreta applicazione. 
Eppure, dopo la lunga «battaglia dei nervi», come l’ha definita uno dei consiglieri del presidente ucraino Petro Poroshenko, l’accordo della capitale bielorussa offre una chance alla pace, difficile quanto si vuole, ma la prima architettura coerente per porre fine a un conflitto che in meno di un anno ha prodotto oltre 5 mila morti, decine di migliaia di feriti e almeno un milione di rifugiati. 
Ridotta all’essenziale, l’intesa prevede il cessate il fuoco tra le forze ucraine e i ribelli filorussi a partire dalle 24 di domani, il ritiro delle armi pesanti dalla linea del fronte e una promessa di maggiore autonomia costituzionale alle provincie orientali russofone, in cambio del ritorno al pieno controllo da parte di Kiev delle sue frontiere con la Russia. 
«C’è un barlume di speranza. Ora alle parole devono seguire le azioni», ha detto Angela Merkel, protagonista insieme al presidente francese François Hollande dell’offensiva diplomatica, che ha costretto al tavolo di Minsk Poroshenko e il leader russo Vladimir Putin. Ma la cancelliera tedesca ha aggiunto di «non farsi illusioni». E poche ore dopo a Bruxelles, al termine del vertice europeo, ha spiegato che «rimane aperta la possibilità, se questi accordi non verranno applicati, di dover prendere ulteriori misure», cioè nuove sanzioni contro Mosca. 
Le diverse narrative dell’intesa offerte dai duellanti confermano le ambiguità di fondo. Putin e Poroshenko hanno ognuno sottolineato le parti a loro favorevoli dei 13 punti del compromesso. Secondo il presidente russo esso riconosce lo «statuto speciale» per le regioni separatiste, mentre Poroshenko ha negato di aver dato alcun assenso a una soluzione federale per l’Est del Paese. Ancora, il presidente ucraino ha parlato di «chiaro impegno al ritiro di tutte le forze straniere e mercenari dal nostro territorio», riferimento alla presenza di uomini e armi russe nelle provincie ribelli, che Mosca continua a negare dicendo che si tratta di volontari. 
E differenze sono emerse anche su chi portasse la responsabilità di allungare una trattativa che ad un certo punto è sembrata infinita, sincopata da annunci di conferenze stampa poi smentiti, continue entrate e uscite dei leader dalla stanza del negoziato, mentre una massa dolente di giornalisti e fotografi attendeva vagando negli smisurati saloni del Palazzo dell’Indipendenza, puro kitsch post-sovietico, messo a disposizione dal padrone di casa, il presidente bielorusso Alexandr Lukashenko. 
Putin ha accusato Poroshenko di bloccare l’accordo. Ma ci ha pensato Merkel a difenderlo, sostenendo che il leader ucraino «ha fatto di tutto per arrivare alla possibilità di mettere fine al massacro». La cancelliera ha però riconosciuto a Putin di aver fatto pressione sui leader separatisti perché accettassero di firmare la tregua. «Non è stata la miglior notte della mia vita – ha detto Putin – ma questo è un buon giorno, perché siamo riusciti a metterci d’accordo sulle cose principali nonostante tutte le difficoltà». Anche il leader del Cremlino, da sempre accompagnato dalla reputazione di uomo di ghiaccio, è apparso provato. Per tutto, parla un fotogramma: quello che lo ha colto mentre spezza fra le mani una matita verde. 
L’accordo di Minsk non ha impedito nuovi scambi di accuse tra Kiev e Mosca. Secondo un portavoce militare ucraino, mentre i leader negoziavano un convoglio con 50 carri, 40 sistemi missilistici e 24 veicoli corazzati sarebbe entrato nel Paese attraverso il confine orientale. Nessuno ha potuto verificare la notizia e i numeri, ma i comandi russi hanno smentito. Intanto uno dei capi ribelli presenti in Bielorussia, Eduard Basurin, ha rinnovato l’accusa alle forze ucraine di continuare i bombardamenti su Donetsk, ma si è impegnato a onorare la tregua decisa a Minsk. 
Positive ma caute le prime reazioni americane, che parlano di «passo potenziale significativo per una soluzione pacifica». Ma ora, ha detto il portavoce della Casa Bianca, «Mosca deve ritirare le armi pesanti e smettere di appoggiare i separatisti».