Libero, 13 febbraio 2015
All’inferno Mario Monti: nel girone dei contabili, condannato a far quadrare i conti di un’umanità i cui conti non quadreranno mai, a guardare Sanremo
Il professor Mario Monti è riuscito a uscirne sobrio persino nella disfatta politica che si è celebrata sommessamente in questi giorni: commenti misurati, commiati ovattati e disillusi, saluti distratti per la sua inutile Scelta Civica. Perfetto: lasciate dunque a noi, gente volgare, l’onore di mandarlo all’inferno: lui e tutta l’Italietta speciosa che si era tirato dietro, la sua eleganza rotary scambiata per costumatezza, il finto loden (perché il loden blu non esiste, parola di altoatesino) e quelle cravatte celestine per-non-sbagliare, e quell’aura di grigio che per un paio d’anni si è spalmata sul Paese e sui nostri giornali. All’inferno lui e la sua alterità da preside delle medie, l’allure da varesotto, la prosodìa tedesca senza chiaroscuri, la risata da vecchia, la bandiera dell’Europa sempre tra le palle, la camicia con collo né italiano né francese che non è cambiata dai tempi della Cresima, il suo e loro disprezzo borghese-milanese per la cosa pubblica, il perbenismo come religiosità, i conticini-a-posto come feticismo da personcine ordinate, la temperie di un Paese ridotta a cifre e tabulati, il plauso dell’italietta provincial-chic e dei calvinisti da panettone di pasticceria, il paesello enzobiagesco e meneghino-capalbio-sabaudo che gira in Panda e poi frequenta una tenuta vinicola da cinque miliardi. All’inferno: nel girone dei contabili, condannato a far quadrare i conti di un’umanità i cui conti non quadreranno mai, a guardare Sanremo.