Corriere della Sera, 12 febbraio 2015
Quegli insulti su un lenzuolo alla manager di Uber ci parlano di diffamazione e prepotenza. Si tratta di un modo di intendere le donne. Se fosse stata un manager americano i toni sarebbero stati diversi
Una ragazza italiana è uscita per andare al lavoro e ha trovato appeso ai fili elettrici, a 15 metri d’altezza, visibile a tutta la strada, un lenzuolo con la scritta «[nome cognome] è una puttana e riceve in [indirizzo privato]. Per l’assessore [cognome] è gratis». Il fatto è accaduto in via Palermo, nel centro di Milano, tra martedì e mercoledì, mentre la gente guardava la prima serata di Sanremo e qualcuno tornava dal cinema.
Non ho inserito subito i nomi perché vorrei vi metteste nei panni di quella ragazza. Immaginate cos’ha provato, uscendo di casa. Adesso i nomi li posso fare: l’interessata mi ha autorizzato. Lei si chiama Benedetta Arese Lucini ed è general manager in Italia di Uber. L’assessore è Pierfrancesco Maran. Qualche mese fa era apparso un suo pupazzo in città, con una foto della signorina all’altezza dell’inguine.
La società californiana Uber offre trasporto urbano tramite una app ed è presente in 53 Paesi. Spesso ci sono state incomprensioni, discussioni, negoziati. Ma in nessun posto al mondo è accaduto quello che sta accadendo in Italia. Ci sono stati episodi di violenza in diverse città, tra cui Milano a Torino. Benedetta Arese è stata derisa, insultata e minacciata. Fino al lenzuolo appeso, nel giorno delle assemblee dei taxisti.
Non è una bravata: è una vergogna. Le preoccupazioni dei taxisti sono comprensibili, le cautele delle amministrazioni ragionevoli, i desideri dei cittadini evidenti (avere trasporti privati efficienti). Quello che è inaccettabile è aver portato lo scontro a questo punto. Una città che si comporta così non può ospitare Expo 2015. Al massimo, una convention internazionale di teppisti.
In quel lenzuolo non c’è, infatti, solo diffamazione e prepotenza. C’è un modo di intendere le donne. Se Benedetta fosse stata un manager americano, un Ben o uno Stan con i baffi hipster, i toni sarebbero stati diversi. Intimidire una giovane italiana per scoraggiare un concorrente. I taxisti di Milano – con cui viaggio quotidianamente, discuto e scherzo – devono intervenire. Tocca a loro fermare questa deriva. Dicano «basta». Perché se a Benedetta Arese succede qualcosa, non potranno cavarsela sussurrando «le solite teste calde!».
Nell’attesa, un’informazione personale. Non avevo, fino a ieri, un profilo Uber. Oggi mi sono iscritto. Nei miei spostamenti per Milano sceglierò chi è più professionale, più efficiente, più civile.