La Stampa, 12 febbraio 2015
Precipita la crisi in Yemen, occidentali in fuga dai ribelli. Gli Stati Uniti evacuano la loro ambasciata. Il Paese spaccato tra oppositori sciiti e miliziani qaedisti
Gli Stati Uniti temono che lo Yemen diventi la prossima Libia. E, con l’incubo di un altro attacco come quello che costò la vita all’ambasciatore Chris Stevens a Bengasi nel 2012, hanno decretato lo stato di emergenza e ordinato la chiusura dell’ambasciata Usa a Sana’a. Subito seguiti dagli alleati occidentali, come Gran Bretagna e Francia, che hanno ordinato l’evacuazione delle rappresentanze diplomatiche nella capitale. Mentre Italia e Germania hanno rivolto un appello ai concittadini rimasti nel Paese per casi di assoluta necessità, ad andarsene quanto prima.
L’allarme dell’Onu
«Siamo sull’orlo di una guerra civile», ha dichiarato l’inviato delle Nazioni Unite, Jamal Ben Omar, ribadendo la preoccupazione della comunità internazionale per le sorti di uno Stato spaccato, con la rivolta degli sciiti Houthi che ha cacciato il governo e Al Qaeda e l’Isis che si ritagliano spazi sempre più ampi. Negli Stati Uniti la rivolta a guida sciita viene guardata con attenzione, ma anche con un certo interesse. I ribelli Houthi, giunti nei mesi scorsi dai territori del Nord, hanno preso possesso della capitale, ponendo fine da gennaio al potere del presidente Abed Rabbo Mansur Hadi. In altre regioni del Paese è forte la resistenza delle popolazioni e dei clan sunniti, che accusano gli Houthi di essere una diramazione dell’Iran.
Da Sana’a a Parigi
Gli Houthi, tuttavia, sono agli occhi degli Stati Uniti una garanzia contro il proliferare delle attività terroristiche che vedono nel braccio di Al Qaeda nella Penisola arabica (Aqab), il principale regista di una fucina di jihadisti pronti a sferrare attacchi in tutto il mondo occidentale. È qui che si sarebbero indottrinati e formati gli attentatori di Parigi, come i kamikaze che hanno operato in territorio americano dal 2009 ai nostri giorni. È originario dello Yemen l’imam Anwar al-Awlaki, ispiratore e formatore degli jihadisti che hanno sferrato attentati dinamitardi ad alto tasso tecnologico negli Usa. Ecco perché, nonostante tutte le preoccupazioni del caso, Washington tratta con una certa attenzione la crisi yemenita. E a rendere ancor più complicata la situazione vi è la presenza di un forte movimento secessionista nel Sud, che vorrebbe la creazione di uno Stato separato, come quello esistito fino al 1990. Migliaia di sostenitori delle milizie sciite hanno manifestato nelle vie di Sana’a gridando slogan di «Morte all’America» e «Morte a Israele», uno scenario che ricorda quello della rivoluzione iraniana del 1979.
Meglio gli sciiti a Al Qaeda
Ma in realtà, secondo fonti di intelligence, ci sarebbero da tempo contatti tra le forze di opposizione Houthi e gli stessi americani, uniti dal medesimo obiettivo di contrastare l’avanzata qaedista nella Penisola arabica. Questo è il motivo che darebbe un certo margine di manovra alle milizie sciite, la cui corsa verso Sana’a ha visto due giorni fa la conquista della città di Radda, nella provincia centrale di Al Bayda, al termine di un violento scontro tra forze governative e ribelli.