la Repubblica, 12 febbraio 2015
Ancora nessun accordo sulla Grecia dopo sette ore di colloqui all’Eurogruppo. Posizioni meno lontane, ma il nodo è il memorandum. Intanto cambiano i controllori della Troika. E la Russia promette aiuti finanziari
Si è chiusa senza un accordo dopo quasi sette ore di discussione la riunione dei ministri dell’eurogruppo sulla crisi greca. «Abbiamo fatto progressi, ma non abbastanza per firmare un documento congiunto», ha commentato il presidente dei ministri dell’eurozona, Dijsselbloem. A quanto risulta, la delegazione greca non ha, per il momento, accettato di sottoscrivere una dichiarazione in cui di fatto avrebbe chiesto la proroga del programma di salvataggio europeo, con tutte le condizioni che esso comporta. Ma il ministro Yanis Varoufakis si è detto ottimista sulla possibilità che un accordo venga raggiunto alla prossima riunione dell’eurogruppo, lunedì. Anche il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan ha usato termini incoraggianti: «È stata una discussione fruttuosa. A tratti un pochino troppo franca nei toni, ma sono ottimista. Proseguiamo la conversazione lunedì». Oggi il primo ministro greco, Alexis Tsipras, avrà modo di saggiare la determinazione dei suoi interlocutori al vertice dei capi di Stato e di governo che discuterà anche della crisi greca. Intanto ieri ad Atene Tsipras ha incontrato il responsabile dell’Ocse, Angel Gurria, per cercare di ottenere l’appoggio e la consulenza dell’organizzazione nella definizione del programma di riforme.
Il primo nodo, che deve essere risolto entro la nuova riunione dell’eurogruppo convocata lunedì prossimo, è la proroga o meno del programma europeo di assistenza alla Grecia, che scade a fine mese. Il governo Tsipras non vuole chiedere un prolungamento perché esso comporterebbe l’accettazione del Memorandum concordato con la Troika, che prevede una serie di tagli alla spesa, riforme e aumenti delle tasse. Tuttavia, senza proroga del programma, la Grecia resterebbe priva di finanziamenti e si troverebbe in bancarotta.
Ieri Varoufakis ha lanciato la proposta di un «prestito-ponte» per dieci miliardi di euro, che consentirebbe al Paese di arrivare fino all’estate e negoziare nel frattempo un accordo complessivo con i suoi creditori. Per ottenerlo, il governo greco sarebbe disposto ad accettare circa il settanta per cento delle misure già comprese nel memorandum. Ma non vuole più negoziare con la Troika e punta ad ottenere l’autorizzazione di ridurre l’avanzo primario del bilancio dal tre per cento, previsto per quest’anno, all’1,5 per cento.
Ieri però, le posizioni degli europei non sono apparse molto concilianti. Per loro il Memorandum che fa parte del programma di assistenza va sostanzialmente rispettato. E l’unico modo in cui la Grecia può ottenere nuovi finanziamenti è domandando una proroga del programma. «Ognuno è libero di fare quello che vuole, ma un programma esiste già. O viene portato a compimento, o non abbiamo più un programma», ha tranciato netto il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schauble. Anche se tutti si dicono favorevoli alla permanenza di Atene nell’euro, sono in molti a ritenere che questo risultato non deve essere raggiunto a qualsiasi prezzo. «Penso che tutte opzioni siano aperte – ha spiegato il ministro lussemburghese dell’economia, Pierre Gramegna – i greci hanno detto che vogliono restare nell’euro, dobbiamo prendere per buona questa loro dichiarazione ma questo comporta degli obblighi. Vedremo». Più duro ancora, il suo collega austriaco ha invitato bruscamente il governo greco «a farla finita con le provocazioni».
Da parte sua il governo greco ha cercato di rafforzare la sua posizione negoziale inviando il ministro della difesa a Mosca, dove ha incontrato il ministro degli esteri russo Lavrov. Proprio nel giorno in cui a Minsk Merkel e Hollande cercavano un’intesa con Putin per fermare la guerra in Ucraina, Atene si è detta «contraria» alla politica di sanzioni contro la Russia. In cambio ha ricevuto la promessa che Mosca «prenderà in considerazione» eventuali richieste di aiuto finanziario da parte greca. Ma queste manovre non sembrano aver prodotto grande impressione tra gli europei, al di là di una comprensibile irritazione. E oggi, al vertice dei capi di governo che si terrà a Bruxelles, Tsipras avrà difficoltà a far valere un eventuale veto greco contro nuove misure per far pressione su Mosca.
Per il momento, insomma, la Grecia sembra con le spalle al muro. Le uniche concessioni che gli europei appaiono disposti a fare sono puramente formali. Non si dovrebbe parlare più di troika, ma di un negoziato con «i rappresentanti delle istituzioni», che però restano sempre la Commissione, il Fondo monetario e la Banca centrale. La proroga del programma di assistenza potrebbe essere definita una «proroga tecnica», che i greci potrebbero ribattezzare «accordo-ponte». Ma la sostanza del Memorandum, e delle condizioni in esso contemplate, per il momento non viene messa in discussione. Tocca a Tsipras decidere se accettare queste condizioni o guidare il Paese fuori dalla moneta unica.
Meno quattro giorni al D-Day. L’Eurogruppo, come previsto un po’ da tutti, si è chiuso con una fumata grigia. Lunedì, senza un’intesa, la Grecia rischia di dare l’addio all’euro. E da oggi ad allora, mentre la sabbia corre nella clessidra, Atene e i suoi creditori dovranno lavorare di lima per trovare – se possibile – i compromessi necessari a siglare “un accordo che metta d’accordo tutti”, come chiedono da sempre i protagonisti del negoziato.
Quante probabilità ci sono di quadrare il cerchio? «Ognuno dovrà fare dei sacrifici», ha suggerito Jacob Lew, segretario al Tesoro Usa. E da questo punto di vista – dicono quasi tutte le fonti vicine alle trattative – c’è la volontà e la possibilità di trovare un terreno comune su cui dialogare. Il diavolo però sta nei dettagli. E visti i toni accesi e le promesse di queste ultime ore, il vero problema sarà trovare una formula semantica ed estetica per firmare una pace vendibile sia in Germania («O la Grecia accetta il memorandum della Troika o è finita», ha garantito Wolfgang Schaeuble ai suoi concittadini) che sotto il Partenone. Dove la gente – come ha promesso Tsipras – si aspetta che l’era dell’austerità sia davvero alle spalle e di memorandum non vuol più sentir parlare.
La verità è che negli ultimi giorni, al di là delle frasi ad effetto per il palcoscenico domestico, le posizioni di Atene e dell’Europa hanno già iniziato ad avvicinarsi. Il governo Tsipras ha mandato in archivio la richiesta di una conferenza europea sul debito, ha moderato i toni sul taglio al debito e ha persino ribaltato lo stop alla privatizzazione del Pireo. Segnali di fumo raffinati, colti però al volo dagli sherpa di Bruxelles che hanno convinto i falchi del rigore ad aprire qualche spiraglio. Sul ruolo della Troika, per dire, insiste ormai solo Schaeuble mentre il resto della Ue sembra pronta a studiare nuove forme di supervisione per la Grecia. E persino Jeroen Djisselbloem si è presentato ieri «pronto ad ascoltare le proposte di Yanis Varoufakis». Un bel passo avanti per chi fino a poche ore prima sosteneva che l’unico piano sul tavolo era quello concordato con Ue, Bce e Fmi.
L’orologio del resto obbliga tutti ad essere realisti. Sul tavolo dell’Eurogruppo si discute infatti quanto costerà ancora ai creditori tenere Atene nell’euro. Mentre i danni di una sua uscita (malgrado in molti esorcizzino lo spettro sostenendo che il rischio contagio non c’è più) rischiano di essere incalcolabili. Dove si possono avvicinare ancora le parti? Gli spifferi dell’Eurogruppo danno qualche indicazione precisa: Tsipras ad esempio potrebbe accettare di rinviare alcuni dei costosissimi “interventi umanitari immediati” previsti nel programma elettorale di Syriza. L’ha già fatto posticipando la revisione dello stipendio minimo e del ripristino della tredicesima ai pensionati. E potrebbe subordinare quelli irrinunciabili a una tempistica concordata con i creditori. Ue, Bce e Fmi invece – malgrado i mal di pancia tedeschi – potrebbero concedere qualche mese di tempo da Atene per presentare le sue proposte. Mettendo mano nello stesso tempo al portafoglio per garantire ossigeno al Partenone. L’ipotesi è lo sblocco degli 1,9 miliardi di profitti della Bce sui titoli di stato ellenici e magari il via libera a nuove emissioni di titoli di Stato. Superato lo scoglio del 28 febbraio (giorno in cui scadrà il vecchio programma della Troika) le parti potranno lavorare assieme per mettere a punto le misure – lotta alla corruzione e all’evasione fiscale, meritocrazia nel pubblico impiego e modernizzazione della macchina dello Stato – su cui il programma di Syriza in qualche caso è molto più vicino alle corde dei creditori di quello di Antonis Samaras. E a ridefinire – operazione che tutti sanno inevitabile – il profilo del debito ellenico, nella speranza che la ripresa dell’economia e dell’occupazione renda il tutto più facile.
Nessuno, naturalmente, si illude che tutto possa filare così liscio. Il vero collo di bottiglia – dicono molti – è quello che si dovrà superare in queste ore. Ed è un nodo “linguistico”. L’intesa, vista dalla Grecia, dovrebbe segnare l’addio definitivo al memorandum della Troika. Vista da Berlino invece dovrà sembrare esattamente l’opposto: cioè la prosecuzione, con qualche timida concessione, dei programmi concordati negli anni scorsi. Soluzione che alla fine Tsipras potrebbe essere costretto a mandar giù pur di incassare i soldi per tenere in piedi il paese.
Si vedrà. Il tempo stringe. E non a caso anche chi tifa contro l’accordo si è affrettato a mettere sul tavolo le sue carte. «Siamo pronti ad aiutare Atene se ce lo chiede» ha detto ieri il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov. Il premier cinese Li Keqiang ha invitato Tsipras in Cina. Il premier di Atene invece corre sul filo. Il 75% del paese è con lui, dicono i sondaggi, ma il 72% vuole rimanere nell’euro. Il compromesso con Bruxelles si troverà mischiando bene assieme come in un cocktail questi due ingredienti.