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 2015  febbraio 12 Giovedì calendario

“Cinquanta sfumature di grigio” sembra la versione porno-soft di “Pretty woman”. Ma qui si sbadiglia. Manca qualsiasi fantasia erotica. La recensione di Paolo Mereghetti

Una volta, dietro la porta chiusa, si nascondevano i segreti inconfessabili di Barbablù o del principe trasformato in Bestia. Adesso ci sono solo i sex toys di un riccone complessato, ordinati e tirati a lucido come una volta gli abiti dell’american gigolò nell’armadio: divisi per categorie (frustini, manette varie, corde e nastri: roba da educande timorate) e illuminati da una luce rossastra e soffusa che dovrebbe fare molto peccato e che invece rivela solo la povertà inventiva della scenografia.
Doveva essere la camera delle meraviglie (e del piacere proibito) di Cinquanta sfumature di grigio, ma il film di Sam Taylor-Johnson – e della scrittrice E. L. James, che ha confessato di essere stata molto presente sul set per verificare la corrispondenza tra il suo romanzo e la trasposizione cinematografica – non mantiene praticamente nessuna promessa. Né di essere trasgressivo, né erotico né, tantomeno, appassionante.
La storia è (più o meno) risaputa. La diciottenne studentessa Anastasia Steele (Dakota Johnson, la figlia di Melanie Griffith e Don Johnson) intervista per il giornalino scolastico il ricco Christian Grey (Jamie Dornan), bello, potente, muscoloso e volitivo. È amore al primo sguardo, lo capirebbero anche i ciechi, ma per arrivare al primo bacio dovrà passare ancora mezz’ora: lei è timorosa, lui è titubante, lei vorrebbe, lui la pedina, ma siccome bisogna far capire che oltre al sesso ci sarà anche romanticismo, ecco che la storia viene stiracchiata da tutte le parti. Compreso un viaggio notturno in elicottero.
Così, tra autisti factotum, amiche curiose, madri invadenti (quella, adottiva, di lui è interpretata da Marcia Gay Harden), lei scopre che lui «non fa l’amore. Fotte. E con forza», mentre lui si accorge che lei è ancora vergine (e qui, la sceneggiatrice Kelly Marcel perde l’occasione di sfoderare un po’ di cultura e di cinefilia, quando alla domanda di lui «Che cosa hai fatto fino a ora?», lei risponde con un moscissimo «Ho aspettato», invece del ben più nobile «Sono andata a letto presto...»).
Comunque, dopo un’ora circa di tira e molla, lui chiede ad Anastasia di firmare il suo contratto da «dominatore»: nel sesso gli piace comandare e in una ventina di pagine elenca tutte le cose a cui lei dovrebbe sottomettersi. E che lei, innamoratissima, accetta con qualche espunzione (penetrazioni fuori norma, nastri adesivi vari e altre quisquiglie).
A questo punto lo spettatore si aspetta che finalmente inizino le danze e che le fantasie erotiche responsabili dei 100 milioni di copie dalla trilogia letteraria prendano forma sullo schermo. Nemmeno per idea: tutto si riduce a qualche sculacciata innocente, a legare Anastasia alla spalliera del letto e all’uso (molto contenuto) di qualche frustino. Siamo al livello meno uno dell’erotismo «proibito» e vien da rimpiangere 9 settimane e ½, dove almeno Mickey Rourke e Kim Basinger davano l’impressione di divertirsi. Qui niente: lui non cambia espressione neanche a martellate e lei squittisce e si dimena nello stesso modo, che la si sfiori o la si sculacci.
Naturalmente c’è una ragione: Christian, poverino, ha avuto una madre tossicomane e prostituta che è morta quando aveva quattro anni e gli ha lasciato questo risentimento verso l’altro sesso che gli impedisce di farsi toccare; Anastasia, invece, accetta tutto (anche la prova delle sei cinghiate finali) perché lo ama e naturalmente non vuole accontentarsi solo delle fruste e dei legacci… Ma invece di consultare un analista o uno psicoterapeuta, lui si intestardisce nella sua dorata solitudine (si alza anche di notte per suonare, malamente, quattro note di Chopin) e lei soffre tutte le pene dell’amore.
Raccogliticcio e scopiazzato (sembra la versione porno-soft di Pretty Woman : lei vuole essere accettata come donna e non come oggetto sessuale e lui resiste. Là c’era l’aereo privato e qui l’elicottero, tutti e due hanno la parentesi musicale al piano, ma nel film di Marshall si rideva, qui si sbadiglia), algido e patinato come le case di Christian, queste sfumature annientano qualsiasi fantasia erotica e confermano l’incapacità di Hollywood di sfruttare i margini di libertà (anche sessuale) che si era conquistata.
E noi tremiamo al pensiero che il finale (il film termina su un ascensore che si chiude) sembra fatto apposta per lanciare la seconda puntata…