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 2015  febbraio 12 Giovedì calendario

Si vota: le regole del gioco cambiano in 7 Regioni su 7. Dal premio ad personam alla tagliola anti piccoli, le leggi che fanno infuriare le opposizioni

Milano Si litiga anche sulle regole del gioco. In vista del voto di maggio per le Regionali, le discussioni non riguardano solo chi scenderà in campo (candidati e alleanze), ma anche le leggi elettorali. I consigli delle sette Regioni chiamate alle urne le stanno riscrivendo, o lo hanno appena fatto. E, quasi ovunque, maggioranza e opposizione si lanciano reciproci strali: l’accusa che si sente, spesso, è che chi pregusta la vittoria voglia blindarla. Alcuni interventi sono necessari: bisogna adeguarsi al taglio del numero dei consiglieri. E stanno scomparendo, sull’onda degli scandali sulle spese pazze, i listini bloccati. Però, avviata la riscrittura, tutto è possibile.
In Campania è stata battaglia contro un emendamento, presentato dalla maggioranza di Caldoro, che voleva portare dal 3 al 10% la soglia di sbarramento per le liste singole. Una tagliola che avrebbe scongiurato le tentazioni di fuga dalle coalizioni (per esempio dei centristi) e alzato l’asticella per chi di alleanze non ne fa mai, come il M5S («Non ci lasceremo intimidire», ha risposto Di Maio). Poi quasi tutti, nell’opposizione, hanno gridato al «golpe». E la norma è stata ritirata.
È invece ancora guerra in Puglia. Dove Michele Emiliano ha detto ai suoi, i consiglieri pd, che chi voterà contro la doppia preferenza uomo/donna potrebbe non essere ricandidato. E l’opposizione ha chiesto l’intervento del capo dello Stato: «Minacce inaccettabili. Secondo la Costituzione i consiglieri non possono essere chiamati a rispondere dei voti», per il capogruppo FI Ignazio Zullo. Ma lo scontro riguarda anche altro. Lo sbarramento, ora al 4%, che si vuole abbassare, o alzare, in base ai calcoli. E il premio di maggioranza: la tentazione del Pd è di collegare il bonus al vincitore (che varia: più voti prendi, più alto il premio) alle preferenze ottenute dal candidato presidente e non soltanto a quelle delle liste. Perché? A sentire l’opposizione, che parla di «legge ad personam», il motivo è che si prefigura che Emiliano prenda più voti della sua coalizione e si voglia far pesare il risultato. Intanto la legge tarda ad arrivare in consiglio.
Così come tarda la legge elettorale in Liguria. Dove, da statuto, è necessaria una maggioranza qualificata (27 su 4o consiglieri) che non si è mai trovata: perché sull’abolizione del listino sono tutti d’accordo, ma quando ci si trova a votare l’accordo scompare.
In Veneto è stata bagarre in Aula per l’approvazione, il 22 gennaio, della legge elettorale. Lo scontro riguardava la doppia preferenza di genere, che non è passata, e il vincolo dei due mandati per i consiglieri. Questo, sì, approvato, ma in versione soft: non sarà retroattivo, varrà dal 2025 e le ricandidature intanto sono salve.