Corriere della Sera, 12 febbraio 2015
A Minsk negoziati a oltranza per fermare la guerra in Ucraina. Nella notte Putin, Poroshenko, Hollande e Merkel trattano senza staff
Ai confini dell’abisso, che l’ennesima giornata di violenza e massacri in Ucraina ha indicato come prospettiva concreta e vicina, un soprassalto di ragione sembra rimettere in primo piano gli argomenti del dialogo e della diplomazia. È presto per dire che il vertice di ieri a Minsk sia stato un successo. Ma lo sforzo di Angela Merkel e François Hollande, alias l’Europa, che per amore e per forza hanno fatto sedere a un tavolo il presidente russo Vladimir Putin e quello ucraino Petro Poroshenko, ha almeno il merito di riprendere un filo che rischiava di andare irrimediabilmente perduto.
A meno di sorprese, che la lunga sessione notturna non consentiva di escludere del tutto, il summit bielorusso si preparava a produrre una dichiarazione comune, dove viene ribadito il sostegno all’integrità territoriale e alla sovranità dell’Ucraina. Un documento separato, redatto dal gruppo di contatto formato da Russia, Ucraina e Osce, l’Organizzazione per la Sicurezza e la cooperazione in Europa, dovrebbe riaffermare l’impegno al cessate il fuoco, firmato lo scorso settembre nella stessa capitale bielorussa dalle parti in conflitto e tuttavia mai veramente rispettato da alcuno. Come dire che a Minsk, si è tornati a Minsk: non è molto, è il minimo per non sprofondare. E non è detto che basti a bloccare la fornitura d’armi americane alle forze ucraine, che secondo l’Istituto di Studi Strategici di Londra avrebbe solo l’effetto di intensificare le forniture russe ai ribelli, aggravando lo scontro.
Il vertice è cominciato a tarda sera. Prima di sedersi intorno al tavolo rotondo con Vladimir Putin, la cancelliera tedesca e il presidente francese hanno avuto un colloquio preliminare con Poroshenko, che al suo arrivo a Minsk aveva drammatizzato la portata dell’appuntamento: «Il mondo intero aspetta di sapere se la situazione si muoverà verso una de-escalation, il ritiro delle armi e la tregua, ovvero se sfuggirà ad ogni controllo». Anche l’incontro d’avvio a quattro senza i ministri degli Esteri, aperto dalla stretta di mano tra Putin e Poroshenko, non era stato inizialmente previsto dal protocollo ed è stato considerato un buon segno. Dopo quasi due ore di discussione, una parte delle quali insieme ai capi delle rispettive diplomazie, i leader hanno posato per i fotografi, prima di chiudersi in una sessione allargata agli sherpa e agli esperti, che nei giorni scorsi avevano lavorato all’intesa.
Le grandi linee del compromesso erano note: cessate il fuoco, ritiro degli armamenti pesanti, creazione di una fascia smilitarizzata, un certo grado di autonomia per le regioni orientali controllate dai ribelli russofoni. Ma le distanze sono rimaste grandi sulle specifiche dei punti cruciali: il rispetto della tregua, che Mosca vorrebbe garantito da una forza di interposizione multinazionale, ma Kiev teme possa diventare il surrogato di una presenza formale russa, magari via Kazakhstan; il tracciato della fascia smilitarizzata, che i filorussi vorrebbero registrasse la loro avanzata dell’ultimo mese; il livello di autonomia per le province dell’Est, che per Kiev non può andare oltre un decentramento rafforzato, mentre i ribelli, appoggiati dal Cremlino, vogliono di tipo federalista, compreso il diritto a esprimersi sulle scelte strategiche del governo centrale; infine, il controllo dei confini con la Russia, che Poroshenko rivendica a pieno titolo per fermare il flusso di uomini e mezzi verso i separatisti.
Mosca ha fatto mostra di ottimismo sull’incontro bielorusso. «I presidenti non faranno un viaggio a Minsk per nulla», avevano detto alla vigilia fonti del ministero degli Esteri russo. Più cauti i tedeschi: il portavoce della cancelleria, Steffen Seibert, aveva parlato di «barlume di speranza, ma nulla di più».
Certo, se Merkel e Hollande avevano sperato che la loro iniziativa di pace avesse un riscontro di moderazione sul campo, è successo esattamente il contrario. Tra martedì e ieri almeno 50 persone, tra soldati ucraini, ribelli russofoni e civili, sono morte in scontri o sotto i bombardamenti E se da un lato i filorussi hanno tentato di consolidare i vantaggi acquisiti prima di firmare una eventuale tregua, dall’altro le artiglierie delle truppe ucraine hanno continuato a martellare i centri abitati russofoni, colpendo anche un minibus e perfino un ospedale.