Il Sole 24 Ore, 11 febbraio 2015
Il Qe porta 1,1, miliardi nella casse dello Stato. E in più garantisce tassi bassi sui Btp
Sul fatto che il massiccio piano di riacquisti di titoli di Stato della Bce possa rivelarsi un buon affare per le casse italiane non vi sono molti dubbi. Parte dei benefici si sono già visti nelle ultime settimane, perché nell’attesa che il programma abbia inizio i rendimenti dei titoli dei BTp sono già precipitate ai minimi storici e il Tesoro può risparmiare denaro importante quando emette nuovi titoli a medio-lungo termine (come domani).
Altri effetti positivi li vedremo poi quando il quantitative easing partirà, il mese prossimo, perché la mano dell’Eurotower farà verosimilmente abbassare ancora un po’ e allevierà l’onere per il ministero delle Finanze. Esiste però un ulteriore impatto benefico, meno immediato, ma non per questo da trascurare: gli acquisti Bce verranno materialmente condotti dalla Banca d’Italia, che si assumerà gli oneri, cioè il rischio di detenere le obbligazioni, ma anche gli onori che tutto ciò comporta, ovvero incassare le cedole che matureranno ogni sei mesi. Una bella fetta di questo denaro tornerà poi a disposizione del Tesoro attraverso le tasse che la Banca d’Italia verserà sugli interessi percepiti dai BTp e soprattutto grazie agli utili che i titoli acquistati daranno, e che via Nazionale gira ogni anno per oltre il 60% allo Stato: il circolo, per una volta virtuoso, si è insomma compiuto.
Non si tratta di un fenomeno del tutto nuovo, perché in tempi recenti la Banca d’Italia ha già comprato obbligazioni sovrane nell’ambito del piano denominato Securities Market Programme (Smp) e gli effetti sono ben visibili negli ultimi bilanci a disposizione: nel 2013 sui poco meno di 30 miliardi di titoli detenuti dall’istituzione di Palazzo Koch per finalità di politica monetaria sono maturati interessi per 1,73 miliardi di euro (1,88 miliardi nel 2012), che hanno contribuito a formare un utile lordo di 4,68 miliardi sul quale sono a sua volta state pagate imposte per 1,64 miliardi (Banca d’Italia è un soggetto «lordista» e come ogni altra azienda del paese versa un’aliquota Ires del 27,5% e il 5,5% di Irap). Una bella fetta del profitto netto realizzato (1,9 su 3 miliardi) è infine tornato allo Stato per completare l’opera, tanto che a spanne si può stabilire che con i BTp in possesso della Banca d’Italia il Tesoro abbia recuperato nel 2013 circa 700 milioni.
Con il «qe» le cifre sono destinate a lievitare, perché come ha sottolineato il Governatore Ignazio Visco al Congresso Assiom Forex, gli acquisti di titoli di Stato italiani potrebbero essere «nell’ordine di 130 miliardi». Quale sarà la misura dell’impatto, per adesso, è difficile da stabilire perché i dettagli del piano (in che modo, cioè, si procederà ai riacquisti) non sono ancora noti, ma qualche stima «Il Sole 24 Ore» ha provato a ipotizzarla.
Sulla base dei dati raccolti da UniCredit Research, i titoli del Tesoro sul mercato con scadenze fra i 2 e i 30 anni (cioè quelli oggetto dei riacquisti Bce) hanno un valore nominale di 1.207 miliardi di euro e una cedola annua (ponderata secondo le diverse scadenze e tipologie di titoli) pari al 3,86 per cento. In via teorica, quando il «qe» sarà a regime la Banca d’Italia potrebbe incassare ogni anno cedole lorde per circa 5 miliardi e «restituire» poi al Tesoro fra tasse e utili attorno a 3,8 miliardi, ma le cose non sono poi così semplici, né i numeri così generosi.
Occorre infatti considerare che gli acquisti saranno graduali (poco meno di 7 miliardi al mese a partire da marzo e almeno fino al settembre 2016) e che di lì a pochi mesi arriveranno a scadenza (e saranno quindi rimborsati) i titoli più a breve termine, il cui impatto sarà quindi limitato nel tempo. Non solo, la complicazione principale risiede nel fatto che i prezzi dei titoli acquistabili viaggiano tutti sopra la pari (121 in media, anziché 100): quando questi saranno rimborsati la Banca d’Italia riceverà una cifra inferiore a quanto versato e quindi registrerà una perdita che in parte limiterà l’effetto cedola.
In maniera simile a quanto avvenuto per l’Smp (ma allora la questione era opposta, visto che i bond erano stati acquistati a un prezzo basso) e in coerenza con le regole contabili dell’Eurosistema, la Bce impone che i titoli siano valutati in bilancio al costo ammortizzato e quindi che si tenga conto delle potenziali plus e minusvalenze ogni anno. Il calcolo diventa quindi piuttosto complesso e soggetto alla volatilità degli stessi prezzi, ma c’è un altro valore che può fornire ugualmente con buona approssimazione l’impatto. I titoli italiani nel mirino della Bce hanno infatti al momento un rendimento medio a scadenza (che tiene conto di cedole, prezzi e durata residua) pari all’1,14 per cento: prendendo questo numero l’ammontare che potrebbe tornare a disposizione del Tesoro ogni anno è valutabile in circa 1,1 miliardi. Non sarà l’equivalente di una Legge di Stabilità, ma resta comunque un bel regalo per lo Stato.