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 2015  febbraio 11 Mercoledì calendario

Governo Renzi: Il bilancio (non positivo) delle cose annunciate e mai fatte. Dalle auto blu alla Pubblica amministrazione

Dodici mesi fa, quando prese il potere, oltre al semestre europeo (ce ne siamo occupati ieri, nell’analisi della politica economica del governo), l’altro tema che Renzi citava più spesso erano le riforme costituzionali. Il quadro non era ancora chiaro, ma nei mesi lo è diventato fin troppo: si consegna nelle mani del capo del partito che vince le elezioni l’intera filiera delle istituzioni repubblicane. I mezzi: premio di maggioranza abnorme alla lista che vince il ballottaggio; il 70% del Parlamento che continuerà ad essere nominato da Roma grazie ai capilista bloccati (e tanti saluti al potere legislativo diverso dall’esecutivo); il Senato ridotto a dopolavoro per consiglieri regionali; platea per l’elezione del presidente della Repubblica che sostanzialmente coincide con la maggioranza politica (nominata, come detto). Il Fatto Quotidiano ha denunciato il rischio della creazione di una sorta di “democrazia autoritaria”, ma finora non ha trovato molti alleati: Italicum e riforme costituzionali sono il provvedimento qualificante di questo primo anno di Granducato toscano e solo la recente rottura (?) del patto con Silvio Berlusconi sembra poter rallentare la corsa del treno renziano. Il resto, come si vede in questa pagina, è un bilancio non positivo: cose annunciate e mai fatte (diritti civili, auto blu), irrilevanza in politica estera, confusione e anche peggio su giustizia e riforma della P.A. (quest’ultima, peraltro, sarà operativa tra un paio d’anni, se va bene).Una buona notizia? L’assunzione dei precari della scuola.
1. PALAZZO MADAMA E ITALICUM
La Costituzione toscana alla prova della rottura del Nazareno
Probabilmente non sarà Matteo Renzi “l’ultimo Presidente del Consiglio a chiedere la fiducia a quest’Aula”, intesa come quella del Senato dove il nostro così parlò il 23 febbraio 2014. La riforma costituzionale – coi 100 delegati nominati dai consigli regionali e il nuovo Titolo V – è forse il provvedimento più in bilico tra quelli promossi dal premier. A agosto scorso l’aula di Palazzo Madama consegnò al premier un primo sì tra i quattro previsti dal dettato costituzionale per modificare la Carta. All’epoca ricevette una dote di 183 voti a favore, nessun voto contrario e quattro astenuti. Era il primo passaggio di una riforma che al tempo vedeva contraria una truppa di una ventina di senatori democratici, e un’altra piccola schiera di “fittiani” (dal nome di Raffaele Fitto, oppositore interno di Forza Italia), oltre al Movimento 5 Stelle e a chi vi era fuoriuscito nei mesi. Oggi, dopo il mezzo naufragio del Patto del Nazareno che sorreggeva le riforme Pd/Forza Italia, potrebbero venire a mancare buona parte dei circa 60 voti che il partito di Berlusconi donava alla causa. Voti che la maggioranza proverà a raccattare tra i nuovi “responsabili”, che oggi prendono il nome più rispettoso di “stabilizzatori”. Per ora il provvedimento è alla Camera, dove ieri ha perso il relatore Paolo Sisto (Forza Italia). Sull’Italicum, la legge elettorale, altra grande riforma di sistema, la situazione è più fluida. Nel senso che, nel corso della legislatura, la corte Costituzionale ha cancellato il Porcellum, lasciando “vivente” una legge elettorale proporzionale con sbarramenti per liste e coalizioni. Sempre a febbraio passato Renzi diceva: “Non abbiamo paura di andare alle elezioni. Noi abbiamo nel nostro Dna la volontà e il desiderio di confrontarci, ma il passaggio elettorale che ci avrebbe atteso in queste ore era un passaggio elettorale nel quale, stante la legge elettorale uscita dalla sentenza della Corte costituzionale, si sarebbe riprodotto uno schema che è quello che avrebbe portato ad un sostanziale Governo di larghe intese”. Per questo il Patto del Nazareno ha dato vita all’Italicum. Premio di maggioranza alla lista che arriva prima, collegi con capilista bloccati, permesso di candidature multiple (fino a 10) e ballottaggio tra i primi due partiti nel caso nessuno dei contendenti raggiunga il 40% dei consensi. Ancora nominati tutti i capilista, gli unici eletti con le preferenze sono quelli che eccedono il numero di 100, per cui il partito che vince e quello che supera il 20%. La legge, che manca di un ultimo passaggio parlamentare (in Senato) ha una pecca, per alcuni risolvibile con un decreto: vale solo per la Camera. Per cui, ad oggi, è inutilizzabile per portare il Paese alle elezioni. Il combinato disposto tra le due riforme   - come denunciato dal Fatto Quotidiano, insigni studiosi e persino da Eugenio Scalfari – mette nelle mani del capo del partito vincente le istituzioni repubblicane. L’abbiamo chiamata “deriva autoritaria”.
2. GIUSTIZIA CIVILE
La riforma è alle Camere, che funzioni non è affatto detto
Il settore civile della giustizia è quello meno colpito dall’annuncite del governo Renzi, ma sempre criticato dai magistrati. È diventata legge una parte della riforma del processo civile. Una riforma, però, che non ha convinto il Csm e l’Anm perché, hanno detto, non risolve i problemi decennali del civile sull’ingolfamento delle cause pendenti. Secondo il Csm gli strumenti previsti dalla riforma “non appaiono particolarmente idonei ad assicurare un reale incremento dell’efficienza del sistema giustizia”. Approvato ieri in Cdm un altro pezzo di riforma del processo civile (è una legge delega su proposta della Comimissione Berruti). Prevede una serie di regole per snellire un procedimento particolarmente “rigido” e involuto; poi la scelta linguistica di rendere le sentenze e gli atti giudiziari in generale comprensibili dalle parti (senza, dunque, l’uso di eccessivi tecnicismi); infine il potenziamento di alcuni sezioni specializzate su ambiti ritenuti meritevoli di particolari attenzioni (il Tribunale delle imprese, ad esempio, o quello dedicato alla Famiglia e ai diritti delle persone). Da oggi, infine, verrà applicato il documento amministrativo informatico che regola una serie di norme sull’informatizzazione in generale ma che “impattano” sull’efficienza delle notifiche telematiche in ambito civile, come ha denunciato il Consiglio nazionale forense: non rendono né più autentici né più certi i documenti del civile prodotti via internet ma complicano la macchina. Una macchina già sgangherata, se si pensa che ai magistrati è stata fornita una consolle che quando si blocca può restare ferma per ore o giorni perché non è prevista l’assistenza tecnica immediata. C’è poi l’incandescente materia della responsabilità civile, approdata alla Camera, ritenuta pessima dai magistrati e necessaria dal governo per tutelare i cittadini.
3. GIUSTIZIA PENALE
Molte dichiarazioni e poche leggi (e gli esperti le bocciano pure)
Leggi ben poche e pure bocciate dagli esperti. Annunci tanti e anche questi criticati dagli esperti. È il quadro, in estrema sintesi, della politica del governo Renzi sulla giustizia penale. È stata approvata la legge sull’autoriciclaggio, ma non prevede il reato se l’uso finale dell’autoattività illecita sia l’acquisto di un bene personale . Per capirci: se un trafficante di droga ripulisce i soldi nei paradisi fiscali e poi quei soldi li usa per comprarsi una villa non può essere imputabile di autoriclaggio. Ci sono poi i provvedimenti svuota carceri in materia di pene alternative e di custodia cautelare. Ancora nulla sul falso in bilancio. Nulla sulla corruzione. Solo proclami davanti alle telecamere per dire che ci sarà un giro di vite. Dovrebbe esserci a breve la legge che facilita l’archiviazione dei reati poco gravi, la cosiddetta normativa sulla “tenuità dei fatti”. È invece diventato legge il taglio di 15 giorni delle ferie ai magistrati, deciso con un decreto governativo, convertito dal Parlamento. Da 45 a 30 giorni. Peccato che quei giorni di ferie ai magistrati servono per poter scrivere anche motivazioni di sentenze o di altri provvedimenti. Risultato: la legge è già davanti alla Corte costituzionale. Un giudice di Ragusa l’ha ritenuta incostituzionale in base all’articolo 3 della Carta sull’uguaglianza e all’articolo 77 sui motivi di gravità e di urgenza che devono caratterizzare i decreti legge. C’è anche un progetto che ridisegna la disciplina della prescrizione che secondo il governo è una stretta. Per i magistrati, invece, è blando. Prevede il blocco della prescrizione in caso di condanna di primo grado e solo per due anni. Un anno per l’appello e uno per la Cassazione. Insomma, il testo sembra fatto con le lacrime di coccodrillo per la prescrizione del processo Eternit celebrato per le morti dovute all’amianto.
4. AUTO BLU
L’eliminazione è un flop, se ne parla a fine anno
Aprile 2014, decreto Irpef, quello con il quale il governo ha previsto il bonus di 80 euro in busta paga: tra i vari punti del provvedimento, c’era la riduzione delle auto blu a cinque per ciascun ministero (quattro per quelli con un numero di dipendenti compreso tra 400 e 600 unità, tre tra i 200 e i 400, una per le amministrazioni fino a 50 dipendenti). “Direttori generali e sottosegretari andranno a piedi o in autobus”, aveva sottolineato Renzi, ricordando che le prime 52 vetture erano già state vendute su eBay. Da allora sono state ‘licenziate’ (vendute o cedute alle Onlus) 2.934 auto blu su 55.286 (e intanto ne sono state acquistate altre 1.276).Quelle in dotazione ai ministeri dovevano essere 93 e se ne contano, invece, ancora 1153. Il movimento c’è stato, ma con ritmi lenti. Come nel caso del ministro per la semplificazione Marianna Madia, che ha annunciato di aver chiuso il decreto di attuazione il 25 settembre, dopo quattro mesi: quattro articoli per disciplinare la riduzione delle auto blu. Dopo altri tre mesi, la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e la sorpresa: la riduzione delle auto è progressiva. Le amministrazioni con 50 vetture dovranno adeguarsi entro due mesi, quelle con più di 100 entro fine anno. E tutto slitta, ancora, al 31 dicembre 2015. Insomma, a febbraio del 2015, non c’è niente di concreto. Tanto che, con una nota, la Madia ha lanciato un ultimatum e ha cinguettato via Twitter: “Entro 10 giorni Ministeri e PA devono informare su come si adeguano a diminuzione #autoblu“.
5. DIRITTI CIVILI
Ius soli e coppie di fatto: finora solo parole
Un anno fa era praticamente fatto: cittadinanza per i bambini stranieri nati in Italia e legge sulle unioni civili per gli omosessuali. “C’è un cambio di metodo profondo sulle unioni civili. Sui diritti si fa lo sforzo di trovare un compromesso anche quando questo compromesso non ci soddisfa del tutto. Ci ascolteremo reciprocamente, ma la credibilità su questo tema sarà il punto di caduta di un’intesa possibile, che già è stata costruita nel corso di questi giorni”. Era il 23 febbraio 2014 e l’espressione “questi giorni”, dodici mesi dopo, risulta forse un po’ ottimista: le proposte di legge sulle coppie di fatto sono ancora impantanate in commissione esattamente come nel febbraio scorso e quello prima. Anzi, come ha raccontato una decina di giorni fa Il Fatto Quotidiano, la ministro Maria Elena Boschi ha chiesto alla relatrice del ddl Monica Cirinnà di rallentare l’iter del provvedimento per non urtare gli alfaniani di Ncd: “Faremo altre audizioni”, la risposta della senatrice Pd. Le stanno facendo. Anche sul tema della cittadinanza neanche un passo avanti finora. Si era partiti a febbraio 2014 con l’annuncio di una legge che avrebbe consentito a “quella bambina che è nata nella stessa città in cui è nata la sua compagna di banco, di avere la possibilità, dopo un ciclo scolastico, di essere considerata italiana”. Poi ciclicamente il premier ha riproposto il tema. Titolo di ottobre dei giornali: “Renzi: Ius soli temperato, sarà sufficiente un ciclo scolastico”. La legge entro fine anno, ci informava la stampa. Curioso che lunedì su alcuni giornali ci fosse questo titolo: “Unioni civili e ius soli, subito dopo le riforme costituzionali ed elettorali”. Fino al prossimo titolo?
6. POLITICA ESTERA
Più Putin e Al Sisi che Obama e Tsipras
Il ministro degli Esteri è l’unico che Matteo Renzi ha sostituito: tempo pochi mesi e Federica Mogherini viene spedita a Bruxelles per guidare la politica estera della Ue, dentro Paolo Gentiloni. Normale , quindi, che gli Esteri siano stati poco centrali nell’azione di governo. Sulla questione dei marò sotto processo in India, citata dal premier nel discorso di insediamento quasi un anno fa, non ci sono progressi rilevanti. New Delhi ha una linea ondivaga ma, passate le elezioni e archiviata a Busto Arsizio l’inchiesta sulle presunte tangenti Finmeccanica al governo precedente, non si registrano neppure peggioramenti. Per tutta la crisi Ucraina l’Italia ha oscillato tra la linea europea – sanzioni contro gli uomini di Vladimir Putin   – e l’interesse economico delle imprese italiane che sono danneggiate dai limiti all’export verso Mosca. Renzi ha cercato più volte di accreditarsi come uomo del dialogo, ma ai vertici che contano sul caso ucraino lui non c’è (lo hanno escluso anche a Milano, quando l’Italia organizzava il summit). Delle cose serie il presidente russo parla solo con Angela Merkel e Vladimir Putin. Più volte Renzi ha ostentato una certa simpatia per Al Sisi, il capo della dittatura militare in Egitto che però il premier sembra considerare un leader moderato (forse perché musulmano laico). Con gli Stati Uniti di Barack Obama i rapporti sono un po’ impalpabili: Renzi lo ha incontrato a Roma, ma la visita era stata organizzata da Enrico Letta. Nella politica europea l’Italia, falliti i tentativi di guidare un fronte anti-rigore, sembra rassegnata all’egemonia di Angela Merkel.
7. LA BUONA SCUOLA
Grande enfasi sulla consultazione, ma mancano i testi e la sicurezza attende
Sulla scuola Renzi ha puntato gran parte delle sue carte. Tanto che nel discorso di insediamento prometteva di recarsi in una scuola italiana “ogni mercoledì della settimana”. Ci è riuscito all’inizio, con tanto di coro di bambini riunito a cantare l’inno al presidente, ma poi gli incontri si sono diradati. Sul tema, però, il governo ha costruito molti documenti a partire da La buona scuola e dalla proposta-choc di assumere 148 mila docenti precari. A distanza di un anno non c’è nessun provvedimento ma il Ministero e Palazzo Chigi si fanno forti della grande consultazione di massa avutasi attorno al documento La Buona scuola. Il sito del Miur enumera i dati ma scorrendoli si scorge la volontà di enfatizzarli. Si legge, infatti, di 1,8 milioni di partecipanti alla consultazione ma poi si scopre che 1,3 milioni sono “gli accessi al sito”. La partecipazione effettiva, in realtà, è di 207 mila persone con 130 mila risposte al questionario e 2040 dibattiti sul territorio. Chi ha partecipato ad alcuni di questi racconta di contestazioni aperte soprattutto da parte dei docenti che hanno il contratto di   lavoro fermo al 2008. In ogni caso, a giorni ci saranno i provvedimenti che recepiranno le novità della consultazione ma soprattutto daranno vita alle assunzioni. Sull’edilizia scolastica, invece, il governo dichiara interventi per 1 miliardo divisi tra “Scuole belle” (piccoli interventi, 450 milioni), “Scuole sicure” (sicurezza, 400 milioni) e “Scuole nuove” (immediatamente cantierabili, 244 milioni). Scorrendo i risultati, pubblicati con apparente precisione sui siti di governo.it   e miur.it , si scopre però che per le scuole belle si sono spesi 150 milioni, lo stesso per le scuole sicure e gli stanziamenti per le scuole nuove hanno finora coperto 198 istituti. C’è molto da fare.
8. CAMBIEREMO LA P.A
Cara Pubblica amministrazione #staiserena, la riforma pronta solo fra uno o due anni. Forse
Vorrei trovare una parola italiana che traduca efficacemente quella inglese “accountability”. Così parlava Renzi immaginando la riforma della Pubblica amministrazione, individuata correttamente, nella responsabilizzazione, nel render conto, dei dirigenti. Oltre che in una riorganizzazione complessiva capace di approfittare delle nuove tecnologie per una amministrazione al servizio dei cittadini. La riforma, però, è stata spacchettata: una prima parte, mediante decreto, è stata approvata ad agosto del 2014 e in quel testo si trovano misure eterogenee e, di fatto, blande. Il governo si è limitato a riformare la mobilità per gli impiegati pubblici, oggi trasferibili entro i 50 chilometri per esigenze di ufficio, ha poi dimezzato i permessi e i distacchi sindacali ma non ha intaccato, se non lievemente, il turn-over del pubblico impiego, riportato al 100% solo nel 2018. La categoria, tra l’altro, ha il contratto bloccato da cinque anni e non si vede ancora una via di uscita. L’approvazione di quel decreto, poi, si ricorda anche per la bocciatura della sanatoria della “quota 96” gli insegnanti in età di pensione beffati, per errore, dalla riforma Fornero e mai risarciti. Il “cuore della riforma”, però, come ammesso dalla ministra Marianna Madia, è stato collocato in un disegno di legge delega presentato in Parlamento ad agosto scorso. Nei sedici articoli della legge sono compresi interventi importanti come “la riorganizzazione dell’Amministrazione dello Stato”, la stessa “definizione di pubblica amministrazione”, “la riorganizzazione del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione” e anche l’articolo che rivede le regole per la “dirigenza pubblica”. Esattamente quella per la quale sarebbe utile un’accountability. Eppure, di tutto questo, non ci sarà traccia ancora per un bel po’ di tempo. Il testo, come detto, giace in Commissione Affari Costituzionali del Senato dal 5 agosto 2014. Attorno ad esse si gioca la battaglia degli emendamenti e dei posizionamenti politici. Ad esempio, quello relativo alla licenziabilità o meno dei dipendenti pubblici, sollevato da un esponente della maggioranza, Pietro Ichino, che dal gruppo di Scelta civica è appena approdato a quello del Pd. Non sappiamo se con le stesse, bellicose, intenzioni. Infine, trattandosi di una legge delega, il provvedimento diventerà operativo se, entro dodici mesi dalla sua approvazione, saranno emanati i decreti attuativi. Insomma, “pubblica amministrazione stai serena”, per utilizzare gli slogan di Renzi.

a cura di Salvatore Cannavò, Virginia Della Sala, Stefano Feltri, Antonella Mascali e Marco Palombi