la Repubblica, 11 febbraio 2015
«C’è un limite all’impunità». Hervé Falciani parla della sua lista, di come l’ha stilata e delle conseguenze che comporta: «È solo la punta dell’iceberg»
Le informazioni utilizzate dalla stampa sono le stesse che ha trasmesso allo Stato francese? «No, i giornalisti ne hanno ricevuto solo una parte; quelle trasmesse all’amministrazione fiscale sono ben più vaste». Le Monde sostiene di aver individuato, in base alle sue informazioni, oltre 106.000 clienti privati… «È solo la punta dell’iceberg».
Allora i privati coinvolti sarebbero più di 106.000?
«Certo, sono assai più numerosi di quelli noti alla stampa. Nei documenti che ho trasmesso sono repertoriati tra l’altro diversi milioni di transazioni (tra banche, ndr). Queste cifre danno un’idea di quella che può essere la parte sommersa dell’iceberg».
Questa vicenda riguarda anche le banche francesi?
«È impossibile che le grandi banche francesi non siano coinvolte. Stiamo parlando di un’industria. Dunque, sicuramente le banche francesi sono ben posizionate».
La norme anti-evasione varate dopo il caso Cahuzac e la legge americana FATCA (ndr: trasmissione automatica delle informazioni) non sono dunque quelle “armi di dila struzione di massa dell’evasione fiscale” che ci hanno descritto?
«Purtroppo no. Di fatto non ne avremo mai. La regolamentazione sta puntando tutto sui clienti privati, che dichiarano un conto col proprio nome. Ma sono solo i piccoli, le briciole in fondo al paniere. Mentre i grandi evasori si servono di società, spesso create in maniera fraudolenta».
Qual è allora la soluzione?
«Si dovrebbe far ricorso a meccanismi democratici, in cui anche la società civile abbia un suo ruolo. Siamo ormai in tanti a scambiare le nostre conoscenze e competenze, grazie a piattaforme come Pila (Plateforme Internationale des Lanceurs d’Alerte – piattaforma internazionale degli allertatori, di recente creazione, ndr) e altre Ong.
Ha avuto contatti con nuovi allertatori?
«Certo. Grazie a Pila, siamo ormai in molti a scambiarci informazioni e dati. Stiamo andando avanti in numerosi campi: ad esempio sui “diamantaires” belgi, sul Crédit Suisse, ma anche su altre banche, altre multinazionali. Se la gente si rivolge a noi, è perché non ha fiducia nel sistema esistente».
Ritiene opportuno offrire incentivi finanziari per incoraggiare le denunce di pratiche fraudolente?
«Gli allertatori sono persone in carne e ossa, che devono sostentarsi con le loro famiglie. È una questione di buon senso. Se non si assicura una protezione finanziaria a chi detiene informazioni di interesse pubblico, la democrazia non potrà fare passi avanti».
Contro di lei la Svizzera ha spiccato un mandato d’arresto internazionale. Pensa di essere protetto dalle rivelazioni ora pubblicate?
«No, non credo. Ma dico che oggi i miei amici banchieri hanno un’occasione per rendersi conto che l’opacità non è totale, e che c’è un limite all’impunità».
Le rivelazioni di Le Monde sull’evasione fiscale permetteranno all’opinione pubblica di prendere coscienza della gravità del problema?
«È presto per dirlo. Ma dobbiamo salutare il lavoro di tutti i giornalisti grazie ai quali la conoscenza di questo problema si sta diffondendo sempre più. È un tema essenziale, che ancora non riceve sufficiente attenzione. In proporzione, quella dedicata al terrorismo è infinitamente maggiore. Mentre affamatori che colpiscono centinaia di milioni di persone sono i veri terroristi: quelli del mondo della finanza».
Boris Cassel e Matthieu Pelloli
(Traduzione di Elisabetta Horvat)
copyright Le Parisien
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Tra i titolari di conti bancari nella filiale svizzera di Hsbc c’erano anche diversi uomini della “Golden chain”, il gruppo dei principali finanziatori di Al Qaeda. La nuova rivelazione nello scandalo SwissLeaks viene da Le Monde che cita documenti condivisi con l’International consortium of investigative Journalists. Tra i nomi figurano, per esempio, un principe saudita che in passato ha notoriamente fornito protezione a Osama Bin Laden, un altro uomo della famiglia reale saudita la cui moglie ha inviato pagamenti a uno dei presunti attentatori dell’11 settembre, l’ex tesoriere di un’organizzazione accusata di riciclaggio di denaro per Al Qaeda, il proprietario di una fabbrica bombardata dall’esercito Usa, perché sospettata di produrre armi chimiche proibite da vendere sul mercato nero.La lista dei nomi appartenenti alla “Golden chain” era stata rinvenuta a Sarajevo nel 2002, durante un raid in una falsa fondazione che in realtà finanziava il terrorismo islamico. Alcuni di questi nomi erano poi circolati sulla stampa, mentre i servizi segreti americani indagavano sulla complessa rete di finanziamento di Al Qaeda e del suo sceicco. Hsbc, però, non ha modificato i suoi rapporti con le persone risultate incluse in questa lista, continuando a gestire conti a loro intestati. Proprio Le Monde si trova a dover affrontare internamente gli effetti dello scoop con due dei tre proprietari in disaccordo sulla “qualità” della storia: il banchiere Pigasse, si è detto «fiero» del lavoro del quotidiano, Pierre Bergé ha definito «delazione» l’inchiesta, condannando il lavoro dei giornalisti.Mentre Hervé Falciani rivela che la famosa lista è «solo la punta dell’iceberg» e che possiede documenti che dimostrano altre milioni di transazioni sospette, in Italia la Guardia di Finanza ha individuato nella lista una persona accusata di prestiti usurai a Roma: si tratta di Salvador Vicente Frieri Gallo che, insieme al fratello Arturo Rafael, è indagato in un’inchiesta in cui sono stati sequestrati beni per complessivi 18 milioni di euro. Secondo la Finanza, i fratelli Frieri Gallo avrebbero omesso di denunciare dal 2003 in poi redditi per oltre 331 milioni di euro, di cui 60 dal 2007 al 2012.La procura di Torino aveva già iniziato a condurre accertamenti in base alla documentazione acquisita dall’autorità giudiziaria spagnola nel febbraio del 2014. I nomi su cui si concentra l’attenzione sono poco più di 250: sono quelli presenti nella prima lista, ottenuta dalla procura di Nizza nel 2010, ai quali potrebbero aggiungersene altri. A Milano sono aperte solo tre inchieste, su persone non note. Sono le uniche sulle quali la Procura intende procedere. Il procuratore aggiunto è pessimista sulla possibilità di ottenere risultati sul piano penale. In Liguria la Procura ha esaminato 125 nominativi ma tutto è stato archiviato per l’impossibilità di definire tempi e canali di provenienza dei depositi presso la Hsbc.Anais Ginori