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 2015  febbraio 11 Mercoledì calendario

Anche l’Alabama, uno degli Stati più conservatori d’America, legittima le nozze gay. Un passo avanti se consideriamo che solo negli anni Sessanta resisteva alla desegregazione dei neri con il governatore George Wallace, che tentò di impedire l’ingresso di due studenti neri all’università

La sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti, che ha legittimato i matrimoni tra persone dello stesso sesso, costringe l’Alabama, uno Stato conservatore del Sud, a prendere atto della riforma, pur in presenza di una accanita resistenza dell’establishment locale. Le nozze gay, divenute legittime in 38 Stati su cinquanta, si sono diffuse soprattutto durante la presidenza di Barack Obama, che dal 2011 ha giudicato discriminanti le leggi statali proibizioniste e si è personalmente dichiarato a favore del diritto personale, sollecitando una pronunzia della Corte suprema. Sono stati quindi i giudici costituzionali a dare lo scossone agli Stati tradizionalisti, indisponibili a trascrivere i matrimoni gay degli Stati permissivi, e a forzare le diverse procedure amministrative statali.
La legittimazione dei matrimoni gay in Alabama acquista un significato più generale nella lotta per i diritti civili, e nella interpretazione di alcuni nodi del sistema politico-costituzionale americano. Lo Stato del Sud, oggi richiamato all’ordine costituzionale, è lo stesso che negli anni Sessanta ha resistito alla desegregazione dei neri sotto la guida del governatore George Wallace, che tentò di impedire l’ingresso di due studenti neri all’università dell’Alabama fino all’intervento della Guardia nazionale mobilitata dal ministro della giustizia Robert Kennedy.
L’attuale divaricazione tra Stati permissivi e liberali è la stessa che negli anni Cinquanta-Sessanta si ebbe sui diritti civili dei neri, e che registra l’esistenza tra gli americani di una profonda diversità culturale, per non dire antropologica, che si traduce in una opposta visione della democrazia e dei diritti delle minoranze.
Torna dunque d’attualità nell’America del Duemila la questione della distribuzione dei diritti e dei poteri tra l’Unione e gli Stati, e tra le assemblee legislative e le corti giudiziarie, una questione che risale alla guerra civile del 1860 tra Washington e i «confederati». Gli Stati conservatori del Sud e dell’Ovest sostengono che sulle materie «non federali» come il matrimonio devono prevalere le costituzioni e le legislazioni statali (come nel caso dell’Alabama che ha chiamato in causa il Defense of Marriage Act del 1996 che affida agli Stati il diritto di riconoscere i matrimoni e fa divieto di quelli tra coppie dello stesso sesso), e che le autorità federali non devono avere alcuna voce in capitolo. In maniera opposta, le minoranze d’ogni tipo, oggi i gay e ieri i neri, si appellano ai principi costitu-zionali del Bill of Rights che prevede i diritti individuali e l’ habeas corpus per tutti i cittadini.
Sulla scena pubblica americana è, dunque, in gioco il dilemma che scuote gli ordinamenti dell’Occidente: il contrasto tra la maggioranza democratica e i diritti delle mino-ranze. Gran parte degli elettori dell’Alabama si è pronunziata contro i matrimoni gay (così come per il mantenimento della pena di morte), mentre la Corte federale ha invocato il principio di non discriminazione per dichiarare illegittimi gli ostacoli posti ai matrimoni dello stesso sesso.
Si può infine concludere che ancora una volta negli Stati Uniti i diritti di libertà hanno avuto la meglio sulla maggioranza della popolazione di uno Stato, secondo le direttive della Corte suprema che in materia esercita non solo una rigorosa vigilanza, ma anche un potere legislativo di chiara intonazione liberale.
Nel 1954 una sentenza della Corte sulla desegregazione scolastica, Brown vs. Board of Education, fu la scintilla che mise in moto il movimento per i diritti civili, dapprima guidato al Sud dai pastori delle chiese nere tra cui Martin Luther King, e poi approdato a Washington con le leggi federali volute dai presidenti democratici. Oggi, la legittimazione dei matrimoni gay, che per una diecina di anni è stata prerogativa di alcuni Stati più liberali, è stata estesa alla maggior parte del Paese non già per via legislativa ma con decisioni costituzionali a tutela delle minoranze.