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 2015  febbraio 11 Mercoledì calendario

Ci troviamo in mezzo a due crisi di tale importanza che è impossibile non parlare di tutt’e due.• Esiste un punto di contatto tra le due? Sì, ed è Putin

Ci troviamo in mezzo a due crisi di tale importanza che è impossibile non parlare di tutt’e due.

Esiste un punto di contatto tra le due?
Sì, ed è Putin. Il mondo occidentale, capeggiato dalla Merkel, affronta la crisi Ucraina e si siede oggi stesso intorno al tavolo con Putin. A Minsk. Discutono: la Cancelliera, Hollande, Putin e il presidente ucraino Poroshenko. Mentre questo avviene, i russi fanno la corte ai greci, mostrando loro che potrebbero benissimo soccorrerli nella crisi che stanno attraversando. Soccorso che potrebbe significare, in pratica, il distacco della Grecia dall’Unione europea e dall’Eurozona e l’inizio di una crisi all’interno dell’Unione dalle conseguenze imprevedibili. Oggi l’uscita della Grecia non sarebbe finanziariamente un problema – dicono quelli che se ne intendono – se non per il fatto che costituirebbe un precedente, un modello al quale potrebbero poi conformarsi altri paesi di peso assai maggiore. Per esempio, l’Italia.  

I greci sembrano disposti ad accettare la corte russa?
Certo non sono maldisposti. E lo fanno sapere. Il ministro degli Esteri Nikos Kotzias è andato ieri a Berlino e proprio oggi è a Mosca, a colloquio con Lavrov. Panos Kammenos, il capo dei Greci indipendenti (destra) che s’è alleato con Syriza, ha dichiarato: «Se la Grecia non riuscirà a raggiungere un accordo con i suoi partner europei sulla rinegoziazione del debito, si rivolgerà ad altri paesi per ottenere fondi. Quel che vogliamo è un accordo ma, se non ci sarà un accordo e vediamo che la Germania resta rigida e desidera far saltare l’Europa in aria, allora saremo obbligati a ricorrere al Piano B. Questo significa ottenere fondi da un’altra fonte, che potrebbero essere gli Stati Uniti, nella migliore delle ipotesi, oppure la Russia, la Cina o altri ancora».  

In concreto, che cosa vogliono i greci?
In due parole, vogliono un rinvio delle scadenze che li riguardano, e intanto avere altri soldi in prestito. Questo nuovo prestito ponte gli servirebbe per arrivare fino al 1° agosto (ultima data pronunciata: in precedenza avevano parlato di 1° giugno e 1° luglio) e di qui ad allora elaborerebbero un nuovo piano, per almeno il 30% diverso da quello che era stato loro imposto a suo tempo. Insistono che vogliono pagare quanto dovuto, solo un po’ più in là. Le Borse gli hanno creduto, anche perché è intervenuta in loro soccorso l’Ocse, che pare disposta a controfirmare il pacchetto preparato da Tsipras-Varoufakis. Solo che ancora ieri i tedeschi hanno fatto sapere che non se ne parla proprio. Ufficialmente siamo al muro contro muro. Le parti si incontrano oggi e domani a Bruxelles. Anche la Commissione europea ha fatto sapere che «gli scambi intensi non sono stati fruttuosi finora». In generale, si tende a dire che Atene ha fatto tante dichiarazioni ma generiche. Di nero su bianco, con cifre e date, finora non s’è visto niente. Oggi, a Bruxelles, i greci dovrebbero presentarsi con documenti scritti. Il quotidiano Ekathimerini giura che ci sarà il rifiuto, senza se e senza ma, di un  ritorno ad Atene della Trojka. Non vogliono neanche che si pronunci la parola «memorandum».  

Non è strano che nello stesso giorno si svolga la trattativa per la Grecia e anche quella per l’Ucraina?
Sì, è una coincidenza davvero singolare. Sono due questioni che possono precipitare il mondo in una doppia crisi gravissima. Perché la mancanza di un compromesso con la Grecia può essere l’inizio della fine per l’Unione europea e per l’euro. E un mancato accordo con Putin può significare la guerra.  

Gli americani forniranno davvero «armi letali», e sia pure difensive, a Kiev?
Non hanno ancora deciso, ma è bastato l’averlo dichiarato perché la temperatura diplomatica salisse alle stelle. Il segretario del Consiglio di sicurezza russo, Nikolaj Patrushev, ha detto che se gli Stati Uniti decideranno di armare l’esercito di Kiev, nel sud-est ucraino ci sarà «un’ulteriore esclaation della guerra». La tesi avanzata dai russi è che attraverso l’Ucraina, gli americani vogliono rovesciare Putin e destabilizzare il Paese. Intanto un’escalation c’è già stata: i razzi dei separatisti sono arrivati ieri cinquanta chilometri oltre la linea del fronte, colpendo una zona residenziale della città di Kramatorsk. I morti sono dodici, i feriti 64. L’incontro di oggi a Minsk non si concluderà con una firma: ci vorranno, per questo, altri colloqui. Sembra però che Putin abbia accettato l’idea di una «terra di nessuno» di qualche chilometro tra ucraini e filo-russi. Lo zar russo vuole che anche qui la cosa sia affidata all’Ocse. È un piccolo spiraglio, che giustifica l’ottimismo, cautissimo, del presidente Poroshenko.