il Giornale, 10 febbraio 2015
Mario Capanna, il rivoluzionario che voleva cambiare il mondo ora combatte contro il taglio ai vitalizi. Lui ne ha due, per un totale di quasi 10mila euro al mese, «perché sono meritati»
Fra rievocazioni e riesumazioni, è facile immaginarlo come un malato di reducismo. Un personaggio riempito dal passato, ingombrante fino all’agiografia, e dunque costretto di continuo a riproporre la memoria della breve stagione del ’68 e dintorni. Falso. Mario Capanna non ha abbandonato i sogni e gli ideali della giovinezza, quando chiudeva il pugno e megafonava davanti alla Cattolica e poi alla Statale la sua voglia di cambiare il mondo. Anzi, di rivoluzionarlo, mandando in soffitta i vecchi parrucconi con i loro privilegi. Anche adesso che ha oltrepassato la linea dei settant’anni, non ha smarrito l’ego barricadero e contestatore, solo che ha fatto tesoro della sua storia e del suo curriculum. Ed è arrivato alla conclusione che è possibile conciliare gli opposti: si può, anzi si deve alzare la voce per difendere i propri privilegi. Bisogna lottare per il proprio portafoglio e questo farà stare meglio gli ultimi. Insomma, se non puoi cambiare la realtà intorno a te, recinta con il filo spinato il tuo orticello e il terreno incolto fiorirà.
La parabola di Capanna è tutta riassunta in questo paradosso e del resto chi ha visto L’arena di Massimo Giletti, domenica scorsa, ha assistito esattamente ad un duello furibondo su questo punto: Capanna è fra i 54 pensionati che hanno fatto ricorso contro il taglio del vitalizio, pari al 10 per cento, deciso dalla Regione Lombardia. Lui ha afferrato il proprio status, foderato di benessere, trasformandolo in una bandiera da sventolare con orgoglio: «Io la casta la combatto dal 17 novembre 1967, dalla prima occupazione. Io prendo due vitalizi perché sono meritati». Per la cronaca incassa 5mila euro dalla regione Lombardia e 4.725 dalla Camera per essere stato deputato di Democrazia Proletaria fra il 1983 e il 1987. «La cifra – spiega lui, sarebbe più corretto dire le cifre al plurale – può essere alta rispetto alla metà dei pensionati che prende meno di mille euro, ma il punto è portare in alto le pensioni più basse, non tagliare per invidia quelle più alte. Se il ricorso non passa vuol dire che tutti potremmo essere sottoposti al taglieggiamento delle pensioni».
Dunque, se difendi i primi della classe, ne guadagneranno anche gli altri. I cassintegrati. I precari. I sottopagati. Quelli in prima fila, in business class, possono diventare un esempio virtuoso per gli ultimi. Una visione coraggiosa, forse azzardata, ma che lui, con inguaribile ottimismo e notevoli capacità acrobatiche, riesce a coniugare con la storia di leader del Movimento studentesco e anima di mille iniziative della sinistra radicale.
No, Capanna non smobilita, non arrossisce, forse perché già rosso da sempre. Non si scusa. Anzi è convinto di aver vinto la sfida nel salotto di RaiUno e di aver costretto Giletti a raccogliere il libro scagliato per terra: «Tutti – spiega al Giornale – hanno potuto vedere in diretta il prode conduttore costretto dalla mia determinazione a raccoglierlo e scusarsi, mentre gli gridavo più volte – questo è vero – “vergognati”».
Formidabili quegli anni, come recita un suo titolo, ma ancora di più questi. Il ’68, ha scritto perfido Michele Brambilla, «è stato l’unico anno di lavoro per Capanna. Aver guidato il movimento gli è valso un bonus di quarant’anni di pensione». Anzi, di doppia pensione. Per un totale di quasi diecimila euro al mese. E ora chiama idealmente i vecchi compagni di lotta a scendere nuovamente in trincea. Guai a toccare quei soldi. Perché se li tagliano a lui, chissà cosa capiterà a chi ne porta a casa mille o poco più. È il nuovo vangelo terzomondista: l’uomo che metaforicamente voleva tagliare le teste dei potenti, ora è convinto che i ricchi siano la diga per salvare i poveri. E pazienza se quei vitalizi, pessimi e indigeribili fin dal vocabolo, sono il frutto scandaloso di regole costruite ad hoc dentro le mura del Palazzo da una piccola aristocrazia. Lui che tirava le uova alla Prima della Scala contro visoni e ermellini, ora sarebbe un bersaglio perfetto per i nuovi extraparlamentari.