Il Messaggero, 10 febbraio 2015
Il casus Belli. Il celebre poeta romanesco, funzionario pontificio, grazie alla raccomandazione di un cardinale si vide riconoscere 37 anni di meritato servizio nonostante i 15 passati in malattia per una pensione da 444 scudi annui
«Da imponenti cause di salute, giustificate dal qui unito attestato medico, è Giuseppe Gioachino Belli costretto ad invocare la competente giubilazione». Era il 6 novembre del 1844 e Belli, proprio quel grande poeta romanesco, dal verso caustico, irriverente, spietato, “invocava” la pensione per motivi urgenti di salute. La pensione verrà liquidata l’anno successivo (1845) dalla Direzione generale del Bollo, registro, Ipoteche e tasse riunite, non altro che dall’amministrazione pontificia di Roma. La pratica viene discussa, ma al Belli saranno riconosciuti 37 anni di “meritato” servizio, con una pensione di 444 scudi annui, da suddividere in 12 rate mensili. Eccola la seconda “segreta” vita del poeta. Perché il Belli ha consumato una singolare carriera da impiegato (già, proprio l’agognato posto fisso) negli uffici pontifici dal 1807 al 1845. A svelare tutta questa storia poco nota è il fascicolo personale del Belli, che contiene la pratica relativa alla sua richiesta di pensione, riaffiorata nei depositi dell’Archivio di Stato di Roma diretto da Eugenio Lo Sardo. Un corpus di documenti in larga parte inediti, ristudiati dall’archivista Marina Morena che, in occasione delle celebrazioni per i 150 anni della morte del poeta, sono stati digitalizzati per farne una mostra on line sul portale dell’Archivio, in collaborazione con il Centro studi Giuseppe Gioachino Belli. Le carte hanno il pregio di svelare fior di retroscena e aneddoti sull’impiegato Belli che per mantenersi, tra necessità economiche e “raccomandazioni” illustri, occupò un “posto fisso” seppur vagando da un ufficio ad un altro.
Nel fascicolo ritrovato spiccano per esempio i due certificati medici allegati alla richiesta di pensione che vengono redatti dal professor Maggiorani, personaggio influente e, manco a dirlo, amico del Belli, che il 25 aprile del 1844 scrive «Belli soffre di un ostinato dolor di capo la cui presenza si manifesta anche con altri sintomi, pallore, lentezza di polso, e abbattimento delle funzioni del sistema nervoso». All’indomani della domanda di pensione, l’Ufficio chiede la visita fiscale, e il Belli sarà controllato da un esponente del Collegio universitario di cui faceva parte lo stesso Maggiorani. Ovviamente, la diagnosi del dottore di famiglia sarà confermata.
CURRICULUM
La pratica pensionistica ricostruisce tutto il suo curriculum vitae. Dopo un primo impiego lampo (aveva 16 anni) grazie alla raccomandazione del principe Odescalchi, presso cui aveva lavorato già il padre, interrotto dall’arrivo dei francesi a Roma, ecco l’assunzione della svolta. «Il 23 agosto del 1816 è assunto dalla Direzione Generale del Bollo e del Registro – racconta Marina Morena – Grazie alle conoscenze influenti della futura moglie Maria Conti che sposerà il 23 settembre dello stesso anno, e che riesce ad arrivare addirittura al cardinale Ercole Consalvi, segretario di stato durante il pontificato di Pio VII». Con dispaccio della Segreteria di Stato del 23 agosto 1816, Belli prende servizio prima con la qualifica di “minutante” e lo stipendio di 10 scudi, poi con la qualifica di commesso e con lo stipendio di 15 scudi mensili. Stipendio che aumenterà a 16 scudi quando sarà promosso a commesso di secondo grado dal 1817 al 31 dicembre del ’26. Ma il vero coup de théâtre arriva il primo gennaio del ’27 quando viene messo “interinamente in quiescienza”, cioè a riposo per motivi di salute, continuando però a percepire lo stipendio di 16 scudi mensili. «Rimarrà a riposo con regolare stipendio mensile, sempre di 16 scudi, per 15 anni, fino al 1842», avverte la Morena. Tutto regolare in base al regolamento organico del Bollo, guarda caso decretato il 22 dicembre del 1826. Una settimana prima che Belli si mettesse in malattia. Eppure, questi quindici anni di riposo per motivi di salute saranno “contati” ai fini pensionistici. Nonostante dal 1827 comincino i viaggi del Belli fuori Roma. Come dimostra la lettera supplica inviata dal Belli al capoufficio del Bollo e Registro conte Vincenzo Pianciani con la richiesta di attestato (una sorta di passaporto) con cui può allontanarsi da Roma. Scrive il Belli il 27 luglio del 1827: «La polizia mi ha rilasciato un passaporto per Milano sulla parola che io le spedissi al più presto una fede del mio amministratore generale dalla quale si rilevasse non essere io in alcuno attuale esercizio di impiego, ne’ frapporsi alcuna difficoltà alla mia andata. Supplico la sua bontà a volermela rilasciare assicurandola che io ubbidirei tosto e tornerei a Roma».