La Stampa, 10 febbraio 2015
Il festival democristiano di Carlo Conti. Un usato sicuro. Gli ingredienti del caro vecchio supermaxishow pippobaudesco ci sono tutti: dalla grande star internazionale come Charlize Theron fino alla sana famiglia cattolica con sedici figli, passando ovviamente per il clamoriso ritorno di Albano e Romina. Quando servono cinque serate e 20 ore di arte varia per scegliere una canzone
Vabbé, la notizia non è uno scoop: stasera inizia il festivalon de’ festivaloni e chi vivrà vedrà (ma, fra parentesi, diciamolo una buona volta: esiste davvero qualcuno che si sciroppa tutto il Sanremone nella sua terrificante integralità? Per spiegare il mondo, Wagner ebbe bisogno di un prologo, tre giornate e circa 17 ore di musica, volendo anche un po’ migliore. A Carlo Conti servono cinque serate e 20 ore di arte varia per scegliere una canzone).
Però, come sempre, il Sanremone ha la misteriosa proprietà di adeguarsi al clima del Paese. E anche prima di iniziare, già si è capito che questo sarà un festival tradizionale, moderato, «normale». In una parola: democristiano. Nel gran ritorno dei diccì, vecchio stile al Quirinale, 2.0 a Palazzo Chigi, va benissimo che all’Ariston ci sia la variante abbronzata di Pippo Baudo. La ribollita-connection più volte evocata c’entra nulla: è un caso che Renzi e Conti siano entrambi toscani, tanto più che Pieraccioni resta a casa (ma riciccia Panariello, un po’ come l’assassino che torna sul luogo del delitto).
C’entra invece, e molto, questa Italia 2015 in cerca di rassicurazioni. Salvo improbabili sorprese, il festival di Conti dà già un’idea di impeccabile professionismo, tecnica ineccepibile, usato sicuro. Gli ingredienti del caro vecchio supermaxishow pippobaudesco ci sono in effetti tutti: i cantanti come astuto mix di soliti noti per le care zie e di ex rapper o avanzi di talent per i gggiovani, una grande star internazionale come Charlize Theron, una gara così complessa che al confronto il decreto milleproroghe sembra il regolamento del rubamazzo, il ricordo dei nostri cari artisti defunti, la donna barbuta (Conchita Wurst) ma anche la sana famiglia cattolica con tanti pupi (gli Anania, sedici figli) e le celebri durate alluvionali tipicamente sanremesi.
Il salto rispetto alla sinistra fighetta degli anni scorsi non potrebbe essere più netto. Certo, anche Fazio e compagni ostensero le gemelle Kessler, la Carrà, Franca Valeri e addirittura il mago Silvan, ma mettendoli come fra virgolette, operazioni nostalgia, citazioni ironiche di un passato in bianco e nero funzionale alla loro tivù pedagogica e perbenista. Invece il gran ritorno di Al Bano e Romina Power è proprio il pezzo forte della prima serata della gestione Conti, come se davvero sia quello che le famigliole italiane riunite attorno alla tivù vogliono vedere. La coppia già scoppiata che si riaccoppia, il passato che non passa: ed è subito Sanremone.