Il Sole 24 Ore, 10 febbraio 2015
A dispetto di quanto ha sostenuto il neo ministro delle Finanze Yanis Varoufakis («Anche l’Italia è a rischio bancarotta»), fra il debito greco e quello italiano c’è una bella differenza
Italia e Grecia, due paesi che se si esclude l’appartenenza all’area mediterranea, hanno in comune ben poco quanto a struttura produttiva e solidità delle finanze pubbliche. Il debito pubblico, enorme per entrambi i paesi, presenta indici di sostenibilità non comparabili.
A dispetto di quanto ha sostenuto il neo ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis («Anche l’Italia è a rischio bancarotta») se si guarda alla struttura e composizione del debito, alla cosiddetta duration (6,3 anni) nonché ai principali indicatori di finanza pubblica (interessi, fabbisogno, avanzo primario, deficit nominale e deficit strutturale) il confronto appare fuori luogo. Il peso del Pil greco (sostenuto per gran parte da turismo e commercio) su quello europeo è inferiore al 3%, contro il 12% dell’Italia. La somma delle economie dei cinque Stati membri Ue più grandi (Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Spagna) raggiunge il 71 per cento. I dati Eurostat parlano di un Pil pro capite pari a 25mila euro annui (la media Ue è di 25.700 euro). Certo il debito italiano è al 132,6% del Pil mentre la media Ue è dell’87,1%), con un carico fiscale al 44% contro il 39,4% dell’Unione.
Ma veniamo al punto centrale della disputa verbale, poi rientrata, tra Varoufakis e il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan: la sostenibilità del debito pubblico. I parametri di valutazione sono molteplici. Di certo le recenti riforme del sistema pensionistico accrescono la sostenibilità del debito nel medio periodo, ma l’indicatore fondamentale è il Pil: più l’economia cresce, più si riduce il debito. Dopo tre anni di recessione, quest’anno il Pil italiano potrebbe avvicinarsi a quota 1%, grazie all’effetto congiunto del quantitative easing della Bce, del crollo del prezzo del petrolio e della svalutazione dell’euro. Basterebbe una crescita nominale del pil nei dintorni del 2% per avviare un percorso di riduzione strutturale e non traumatico del debito pubblico. Secondo le stime del Fmi, la Grecia dovrebbe crescere quest’anno dello 0,6% (la stessa stima dell’Italia che però risale allo scorso ottobre, quindi invia di revisione al rialzo).
Quanto alla composizione del debito greco, che Alexis Tsipras si è impegnato a ripagare interamente per la parte detenuta da Bce e Fmi, la quota da rinegoziare secondo le richieste greche riguarderebbe il debito contratto con i governi dell’eurozona e il fondo anti-crisi nel 2010: 195 miliardi di euro (la Grecia deve all’Italia 43,3 miliardi). In particolare, all’Efsf vanno rimbosati 141,8 miliardi, il 45% del totale. Il debito greco ammonta a 330 miliardi, pari al 177% del Pi: per il 72% si tratta di «official loans», crediti in mano a istituzioni pubbliche (60% della Ue attraverso i suoi fondi Efsf e Esm, e 12% dell’Fmi). L’8% è in mano alla Bce, il 5% sono altri prestiti, il 15% sono titoli di debito trattabili sul mercato secondario. Ed ecco la differenza più marcata rispetto al debito italiano: quello greco è un debito che si basa su un’esposizione prevalentemente estera (sotto forma di prestiti). Da qui il rischio default, se lo spread sale fino a livelli prossimi all’insostenibilità. I dati di ieri parlano di uno spread a 1.080 punti base, con un rendimento sui decennali dell’11,1%, e di oltre il 20% dei biennali e triennali.
E l’Italia? Il debito è detenuto da banche e altri intermediari finanziari italiani (circa il 35 per cento), dalle famiglie italiane (circa il 13 per cento), dagli investitori esteri (circa il 30 per cento) e da Bce e Banca d’Italia (un altro 10 per cento). Quanto agli indicatori di finanza pubblica cui guardano Bruxelles, i mercati e le agenzie di rating, l’Italia può mettere in campo un avanzo primario tra i più elevati in Europa (3,3% del pil quest’anno in crescita fino al 5% del 2018), un deficit nominale nei dintorni del 2,6%, e stando alla nuova flessibilità di bilancio prevista dalla Commissione Ue il deficit strutturale è indicato in riduzione dello 0,25% (non siamo in linea con la regola del debito). Lo spread ieri era a 130 punti base.
Il vulnus di partenza per la Grecia riguarda il conteggio del deficit al momento dell’ingresso nell’euro, che non era al 3% ma ben oltre nei dintorni del 15 per cento. Stando alle ultime stime dell a Commissione Ue, il deficit passerà dal 12,2% del 2013 al 2,5% del 2014 e all’1,1% del 2015. Il giudizio più severo è delle agenzie di rating che hanno retrocesso il debito greco fino al livello junk, spazzatura.