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 2015  febbraio 10 Martedì calendario

A scuola la scienza si studierà in inglese. Così dopo i nativi digitali, avremo i nativi anglofoni

Confesso di avere letto con un certo disagio l’intervista di Gianna Fregonara al ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini («Corriere», 30 gennaio). Alle elementari si studierà una materia in inglese, dice il titolo; e il ministro, nel testo, spiega: «Per esempio scienze». Dunque, la lingua di Galilei, di Volta, di Marconi, di Fermi può essere vantaggiosamente sostituita già nelle elementari. Che fosse del tutto inadeguata alle sottigliezze fisiche e metafisiche delle moderne tecnologie ce lo avevano già spiegato il rettore e i professori del Politecnico di Milano. Come italiani, sapevamo di avere delle difficoltà con le lingue più parlate nel mondo, e credevamo che la colpa fosse di un sistema scolastico antiquato e un po’ troppo «antichizzato». Ma pensavamo anche che la nostra cultura, e la lingua che ne è la struttura portante, fossero una buona base per migliorarlo. Ci consolavamo pensando che nonostante tutto abbiamo avuto e abbiamo grandi architetti, grandi ingegneri, importanti scienziati. Ci illudevamo. Se l’errore, come ormai ci viene suggerito da tante parti, è proprio nella lingua, più adatta alle poesie che alle scienze, a che servono le mezze misure? Non ci metteremo al passo col mondo autodegradandoci a Paese ex coloniale. Occorrono misure più coraggiose, passi più lunghi. Abbiamo cambiato la moneta, possiamo cambiare la lingua. Dopo i nativi digitali, avremo i nativi anglofoni. Come diceva il presidente Mao Zedong: il cammino è tortuoso, ma l’avvenire è radioso.