Corriere della Sera, 10 febbraio 2015
Rizzoli, la fortuna di un buon imprenditore. Il gioco, le donne e la sua fabbrica di fantasia
Quale segreto c’è dietro un imprenditore di successo? «Prima cosa è la fortuna, poi ci vuole l’ingegno e tanto lavoro, ma senza fortuna non vai da nessuna parte».
Se lo garantiva Angelo Rizzoli, nato povero, cresciuto orfanello nei Martinitt e poi diventato il Cumenda, strepitoso modello milanese di uomo fatto da sé, gli si può credere. Per lui parla un impero editoriale e cinematografico poi felicemente approdato anche allo sport con il primo grande Milan (affidato al figlio Andrea) che vincerà la Coppa dei Campioni e agli investimenti immobiliari (donando fra l’altro un ospedale) a Ischia.
Prima di morire nel 1970 a 81 anni, Angelo Rizzoli aveva lasciato una nota ai suoi eredi: «Rimanete uniti e mi raccomando non fate debiti con le banche». Messaggio che per diversi motivi non ha avuto seguito, se è vero che nel giro d’un decennio il suo prezioso giocattolo ha perso pezzi, uscendo gradualmente dalle mani della famiglia. Ma l’epopea del Cumenda e dei suoi successori resta un album importante di storia e costume del Novecento italiano.
Ecco perché questo «Rizzoli – La vera storia di una grande famiglia italiana», scritto da Nicola Carraro e Alberto Rizzoli, primi cugini e nipoti di tale nonno, ha il sapore di quei film-saga che partono in allegria nel bianco e nero per poi finire a colori ma con qualche malinconica nostalgia. Nel libro Nik e Albert, così si chiamano da sempre, si scambiano lettere e ricordi più o meno lontani.
Il culto del nonno per la fortuna? Non sarebbe mai stato il Cumenda se la prima macchina da stampa, comprata appena fuori dall’orfanotrofio, non fosse rimasta in equilibrio su un carretto senza ruota. E se nel 1943 una bomba sul suo magazzino di carta e inchiostri, fosse deflagrata invece di addormentarsi.
Il carattere del vecchio Rizzoli è nelle sue foto: imperioso ma cordiale, impettito con la sigaretta pendula all’angolo della bocca. In cappotto cammello al braccio della moglie Anna alla prima della Scala. Al casinò perdendo contemporaneamente su tre tavoli senza mai ammetterlo.
In realtà si sentiva in debito con la fortuna e secondo Oriana Fallaci lui giocava apposta per perdere. A proposito della famosa giornalista, i cui picchi iracondi già allora venivano temuti, godeva di trattamento speciale (note spese incluse) perché «nessun giornalista è intoccabile, salvo l’Oriana». E lei ricambiava definendolo «mosaico d’incongruenze, labirinto di possibilità, fabbrica di fantasia».
Sarà stato fortunato ma che fiuto pazzesco: dove toccava, pioveva oro. Con giornali come Oggi, Novella, Annabella. Con scrittori come Guareschi, Arpino, Flaiano. Con film come Umberto D, Don Camillo e Peppone, La dolce vita. Per non parlare dell’intuizione (1949) della collana Bur con i migliori classici a prezzi stracciati.
Ai cugini autori del libro non è andata male con un nonno così. Da ragazzini salivano, con Angelo jr. fratello maggiore di Alberto, su Cadillac e Buick, giocavano a pallone nel campo del palazzo in via del Gesù, d’estate in crociera sul Sereno, yacht da 50 metri iperveloce che provocava terribili nausee ma pazienza.
Due big come Montanelli e Biagi sono stati per lui compagni di strada e non sono mancate le occasioni di scontro, ma Angelo Rizzoli è vissuto nella fortunata epoca degli editori puri, duri, sanguigni ma innamorati del loro ruolo e senza ambizioni insidiose per la libertà di stampa. La politica? Apprezzava l’abilità di Andreotti ma il suo politico preferito restava Pietro Nenni, con cui giocava a bocce.
Non era però quello il suo hobby preferito. Diciamo che la stima per qualche attrice, tipo Myriam Bru e Graziella Granata, è andata al di là, come si scriveva a quei tempi, d’una semplice amicizia.
Per un’impresa perdere il suo fondatore e fuoriclasse non è soltanto un lutto. Può essere l’inizio della fine. Forse suo figlio Andrea, peraltro ottima persona, ha ricevuto il testimone quando già era cominciata un’epoca diversa. Forse quel suo andare alla conquista del Corriere della Sera, sognata da tempo, rilevando prima le quote di Moratti poi quelle di Agnelli, è stato troppo temerario. È cominciata così l’era dei debiti, poi esplosa nei primi anni 80 con le disavventure, su cui tanto si è scritto, di Angelo Rizzoli jr. recentemente scomparso.