il Fatto Quotidiano, 9 febbraio 2015
Dietro la sentenza che da meno di un anno ha abolito, per le coppie sterili, il divieto alla fecondazione eterologa si combatte una battaglia sul senso della vita. C’è chi la ostacola perché vede nell’eterologa il primo passo verso lo smantellamento della famiglia tradizionale, e c’è chi la difende, con in mano la Costituzione, smantellando le obiezioni dei primi con le rigide linee guida approvate dalle Regioni lo scorso settembre. Questo sulla carta, ma cosa succede nella vita reale?
Dopo dieci anni di vuoto legislativo e all’indomani della storica sentenza della Corte Costituzionale la speranza di migliaia di coppie in attesa di un figlio si è riaccesa di colpo. Giusto il tempo, però, di capire che cavilli tecnici e politici avrebbero ritardato se non vanificato il ricorso a donatori esterni. “Il primo grande problema – spiega Andrea Borini, presidente della Società italiana di prevenzione della fertilità e direttore dei centri Tecnobios – è la mancanza di donatori. O meglio di donatrici, perché il 70% delle coppie è in cerca di ovociti. Con donne la cui infertilità è causata da malattie (tra cui il tumore), menopausa precoce o sopraggiunti limiti d’età. A fronte delle loro richieste, in Italia, le donatrici ‘pure’ si contano sulle dita di una mano. Non c’è da meravigliarsi se per i 5-6 giorni in cui bisogna andare in ospedale per il prelievo non è previsto neanche un rimborso spese”. All’estero è di circa 1000 euro. Ma anche per accedere alle banche straniere c’è una difficoltà: “Tra i test per il prelievo degli ovociti è richiesto il tampone vaginale che gli altri non fanno, impedendo così di utilizzare le loro scorte”, specifica Borini. In aggiunta alla mancanza della “materia prima” c’è poi il costo, ma forse è l’ultimo dei problemi: per “riceventi” sotto i 43 anni (il 30% di chi richiede l’eterologa) il servizio sanitario nazionale chiede dai 4000 mila euro della Lombardia, interamente a carico del cittadino, ai 400-500 euro di Regioni come la Toscana. Per le over 43 non rimane che rivolgersi al privato, con una spesa di circa 2500 euro in modalità egg sharing, cioè tra donne che si sottopongono all’eterologa. Un gesto di solidarietà con cui per esempio a Cortona, in provincia di Arezzo, si sta ovviando la mancanza di gameti femminili. Da quando è legale, quindi, sono poche decine le coppie che, tra studi privati e ospedali pubblici, si sono sottoposte a fecondazione eterologa in Italia. “A quasi tutti quelli che si rivolgono al nostro sportello ‘Tutta la genitorialità possibile’, voluto dal Comune di Milano, da Vox Osservatorio sui diritti e da SOS Infertilità – racconta Rossella Bertolucci una delle promotrici – ci vediamo costretti a consigliare tuttora l’estero. Sia per l’assenza di donatori sia per la mancanza in Italia di un preciso percorso attuativo”. È quel che non si è fatta ripetere due volte Diana Alessandrini, 43 anni, giornalista radiofonica mamma soddisfatta di Alice, 2 anni e mezzo, e Giulio, 1 anno. “Dopo esser stata operata per la seconda volta di fibromi multipli – racconta – la ginecologa è stata categorica: ‘se vuoi avere un figlio non c’è più tempo’. Alla soglia dei 40 non avevo un compagno che condividesse un progetto di famiglia. Decisi di provare ad avere un figlio anche da sola (in Italia per le single è tutt’ora vietato). Per fortuna avevo firmato da poco un contratto di lavoro a tempo indeterminato”. La prima volta parte d’agosto per Malaga, per 23 giorni di stimolazione ovarica presso la Clinicas Rin-con. “Mentre i centri romani erano chiusi per ferie, lì l’orario di apertura lo decideva il mio corpo”. Nel 2011 rimane incinta di Alice e due anni dopo, con gli ovociti congelati la volta prima, di Giulio. Costo totale: a parte le spese di soggiorno e i voli, 6500 la prima volta e 2000 la seconda. “Io questi figli li ho desiderati tanto e non ho problemi a raccontare la mia storia (come ho fatto nel libro Ignoranti Sentimentali, edizioni Opposto), perché non facciamo gli ipocriti: quante sono le donne che crescono i figli da sole? Perché devo essere penalizzata dallo Stato o scomunicata dalla Chiesa? Non amo sentirmi in balia del destino, anche se la vita poi va come deve andare. Ma se c’è una possibilità io ci provo”.
SETTE, OTTO MILA EURO A TENTATIVO
Anche Cecilia, 45 anni, avvocatessa single, ci ha provato senza riuscirci. Finora. “Il ginecologo di uno dei più noti Instituti de’ Infertilidad di Barcellona, dopo la visita, mi ha messo sotto gli occhi un foglio plastificato con le percentuali di successo. Nel mio caso, il 6% (e 7-8 mila euro per ogni tentativo) se volevo procedere con i miei ‘vecchi’ ovociti, a rischio biologico e genetico, o il 30% con l’ovodonazione, ossia con i gameti di una donna più giovane (circa 3mila euro)”. Portare nella pancia un figlio con il Dna di due sconosciuti? “Non ero pronta, anche se la consulente del dipartimento internazionale che mi accompagnava mi ha rassicurato dicendo che è una questione culturale: il figlio è di chi lo partorisce e poi lo cresce”. Come sanno bene le fiorentine Laura e Valeria, che sul blog www.diversamentemamme.com , raccontano la loro esperienza alle prese con il primo figlio, nato lo scorso maggio. “Non immaginavamo andasse tutto così liscio – dice Laura – Forse è dipeso anche dai miei 33 anni. Con appena settecento euro di spesa, due e-mail, un contatto Skype, una vacanza a Copenaghen e una mezz’ora nella clinica Stork Klinic, fondata da un’ostetrica lesbica: così abbiamo concepito Milo”. Non c’è voluto molto sforzo, anche quando Valeria ha azionato la siringa senza ago collegata al catetere intrauterino inserito nella vagina di Laura, con il seme di un donatore che non acconsente a essere contattato alla maggiore età del bambino. Il segno dell’avvenuta gravidanza, Laura, l’ha sentito quasi subito. Con la voglia di mangiare una megafrittata all’ombra della Villa Reale, e di trasmettere “una testimonianza positiva e ottimista, in contrapposizione all’ottusità grigia e censoria del pregiudizio nei confronti dell’omogenitorialità” (è di pochi giorni fa la sentenza della Corte di Appello di Torino, in cui si riconosce l’esistenza di due madri di un bambino nato in Spagna, appunto, con l’inseminazione eterologa). Anche Flavia, 37 anni, impiegata di Brescia ha una compagna. Ma invece di optare per l’estero si è rivolta al web. Non solo per le tariffe costose, ma anche perché i donatori dei gruppi Facebook li puoi guardare negli occhi (“Voglio poter dire a mio figlio com’è venuto al mondo e chi è suo padre biologico. Non una balla”). L’alternativa ai viaggi della speranza è infatti internet, dove domanda e offerta, per lo più di seme maschile, s’incontrano senza mediazioni, senza passaggio di denaro (altrimenti, illegale) e per la verità senza molte tutele medico-legali. La scelta di Flavia è caduta su un ragazzo norvegese, conosciuto in un gruppo online italiano. “In nord Europa c’è la cultura della donazione, non è un metodo occulto e pruriginoso come da noi. Spesso le famiglie sono d’accordo, mentre qui capita che le mogli siano all’oscuro delle donazioni del marito. Pensa che al momento di inviarmi le cartelle cliniche Peter ha incluso anche la fotocopia del passaporto. Più trasparente di così!”. Eterosessuale, informatico 32enne, Peter ha cinque figli biologici all’attivo. “L’ho scelto perché ha un gran senso di responsabilità. – aggiunge lei – Quando è stato qui per il primo tentativo, in auto si allacciava le cinture di sicurezza anche per pochi metri. E cosa fondamentale ha sempre risposto a tutte le mie mail”. Flavia, che ha postato l’ecografia d’inizio di gravidanza, ha poi purtroppo avuto un aborto spontaneo. Ma giura che ci riproverà. Tra i donatori più attivi all’estero Joey Donor, 45enne californiano, invia il suo seme anche per posta celere. Negli Stati Uniti ha più di trenta figli biologici (oltre ai suoi tre, adolescenti) e sul tema è un super esperto. Autore di due guide tradotte anche in italiano (su Amazon), e di una fiction tv compare in programmi come: Uomini che offrono sesso gratis a donne che cercano di rimanere incinta. Maggiore privacy ma minore possibilità di successo per chi come Federica, 28 anni, veterinaria di Ancona, si è fatta recapitare direttamente a casa la fialetta della più grande banca di seme al mondo, la danese Cryos. Dove il padre biologico si sceglie in base alle inclinazioni artistiche, alla foto da bambino, e alla voce registrata in un file mp3. “Peccato che a fronte di 800-1000 euro a fialetta rischi un nulla di fatto. Perché il quantitativo è talmente irrisorio che è facile che vada perduto nell’operazione di inserimento casalingo. Molto meglio andare da un medico consenziente”
I GRUPPI NATI SUL WEB
Dicevamo, il web. Il Far Web, parafrasando il Far West. In Italia da circa tre anni è attivo il primo gruppo gratuito sul tema, “Donazione di seme: dono di vita”, più di 300 iscritti moderati da un giovane studente di medicina, a cui si è aggiunto di recente “Donatori di seme –L’angolo delle cicogne”. Antesignano, con sede all’estero e inserzionisti anche in Italia, è stato il sito co-genitori.it (30 euro l’iscrizione per tre mesi), ma in mancanza di un coordinatore gli annunci sono più o meno attendibili. In ogni caso funziona così: tra donatori e riceventi si stabilisce un primo contatto, ci si scambia informazioni, poi si passa all’incontro di persona e se tutto procede senza intoppi, quando la “ricevente” ha il picco ovulatorio, prende appuntamento con il donatore scelto. La donazione avviene per lo più in un hotel con la consegna del seme raccolto in un barattolo sterile, che la donna inserisce il prima possibile nella vagina, con una siringa senza ago. «Sì, lo so che a molti sembra una cosa squallida – è la confidenza di Ester, 38 anni, fotografa – La prima donazione poi è stata tremenda, anche imbarazzante. Ma non avevo altre chance. Desiderare un figlio da lesbica è il più grande tabù in Italia”. Tutt’altro piglio per Martina, affascinante donna in carriera (nella foto del profilo assomiglia a Kim Kardashian) che a 43 anni, quando il marito l’ha lasciata su due piedi, così è rimasta incinta di Benedetta, nata quattro mesi fa. «Dopo il primo incontro, anche se fisicamente non era il mio tipo, invito Luca, come mi ha detto di chiamarsi, prima a cena e poi una stanza d’albergo per tre giorni e due notti. Così da mettere subito in chiaro che non cercavo i suoi soldi. L’inseminazione è avvenuta con un rapporto sessuale. Strumentale al risultato. Mica avevo voglia di far la stessa recita il mese dopo. Speravo che andasse bene al primo colpo”. Ma chi sono questi uomini che donano il loro seme gratis? E perché? “La tipologia varia moltissimo – racconta Simona – C’è chi sul più bello ti dà buca agli appuntamenti e chi è sempre reperibile. Chi propone l’inseminazione naturale NI al posto dell’artificiale AI. Chi invia il suo spermiogramma a garanzia della motilità del suo seme e chi sbianchetta il cognome sulle analisi cliniche per scongiurare le malattie sessualmente trasmettibili. Quanto alle motivazioni, c’è chi ha studiato all’estero dove ha cominciato con le banche del seme e chi ha assistito al percorso a ostacoli per diventare genitori di amiche o cugini. In alcuni casi entrano in competizione tra loro, e nonostante la loro buona volontà, qualche dubbio ti viene. In fondo per l’esigenza di anonimato, il futuro padre biologico di tuo figlio resta un estraneo: è il prezzo da pagare per vivere in uno Stato dalla doppia morale, da una parte l’esaltazione della maternità e dall’altra mille paletti se vissuta fuori dal matrimonio”.
Prima ancora dei ricorsi in tribunale, della giurisprudenza e degli schieramenti politici, dietro la sentenza che da meno di un anno ha abolito, per le coppie sterili, il divieto alla fecondazione eterologa (la possibilità di far ricorso a un donatore esterno agli aspiranti genitori) si combatte una battaglia d’idee, ideologie e senso della vita. Non a caso si parla di nascita. Chi la ostacola vede nell’eterologa il primo passo verso lo smantellamento della famiglia tradizionale, teme l’eugenetica o la sperimentazione sugli embrioni. Chi la difende, invece, lo fa con in mano la Costituzione (il 9 aprile 2014 la Consulta ha dichiarato incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa, contenuto nella legge 40 del 2004 sulla procreazione assistita), smantellando le obiezioni dei primi con le rigide linee guida approvate dalle Regioni lo scorso settembre. Dove l’identikit (“coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”) di chi può far ricorso al seme o all’ovulo di un donatore/donatrice ribadisce il divieto per coppie con patologie genetiche, coppie lesbiche e donne single. Questo sulla carta, ma cosa succede nella vita reale?