Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  febbraio 09 Lunedì calendario

Lo scandalo senza fine della Provincia di Roma. Malgrado la trasformazione, continuano ad esistere molte società controllate. Talvolta con un unico effetto: garantire posti di lavoro

Domanda: dopo la metamorfosi delle Province, trasformate in surrogati non più elettivi, che fine faranno le società controllate da quegli enti ora privati di molte funzioni? Interrogativo più che legittimo, considerando come in tutti questi anni le Province, al pari delle Regioni e dei Comuni, siano state in preda a un’autentica frenesia creativa. Decisivo è risultato il loro contributo per arricchire il panorama già sterminato di partecipate pubbliche, sulla cui utilità parla chiaro il rapporto del commissario alla spending review Carlo Cottarelli secondo il quale il loro numero dovrebbe ragionevolmente essere ridotto del 90 per cento, da oltre 8 mila a non più di mille.
La Provincia di Roma possiede dal 2002, quando era presidente il nazional-alleato Silvano Moffa, una società che si chiama Capitale Lavoro. Si occupa di formazione professionale e servizi per l’impiego, funzioni che però non dovrebbero spettare più alle Province.
Dai numeri, tuttavia, si potrebbe ricavare che l’occupazione principale è quella di occupare personale. Alla fine del 2013, in seguito alla fusione con Provinciattiva, altra società provinciale costituita invece nel 2007, al tempo del presidente margheritino Enrico Gasbarra, i dipendenti di Capitale Lavoro erano 306. Ma non è tutto qui. Perché nelle ultime settimane dello scorso anno, appena prima che la ex Provincia di Roma entrasse nel limbo della Città metropolitana e in clima di spending review, a rimpinguare gli organici di quello che è considerato un feudo della sinistra più radicale, sono arrivati i 20 dipendenti di una terza ditta provinciale, l’Agenzia colline romane recentemente liquidata, più 23 precari stabilizzati fra cui un dirigente. Per un totale generale prossimo a 350.
Siccome però è una società che opera nel settore della formazione professionale, al personale fisso si devono aggiungere i collaboratori per i corsi: docenti, esperti, tutor... Nel 2014 ne sono transitati a libro paga della società ben 383. Poi, naturalmente, ci sono gli organi sociali. E qui non si può fare a meno di notare che una società pubblica con un solo azionista ha un consiglio di amministrazione con cinque persone: più tre sindaci revisori e due supplenti.
L’amministratore delegato si chiama Claudio Panella, e ha un curriculum denso di esperienze nel campo della formazione, dove spicca anche una militanza più che ventennale nella Cgil. Per 12 anni alla Federazione dei lavoratori dei trasporti, fino a diventarne il segretario generale del Lazio e per sette segretario della Funzione pubblica nella Regione, è infine sbarcato quarantenne nel direttivo nazionale del sindacato ora guidato da Susanna Camusso.
Il presidente è invece una figura piuttosto nota nelle aziende pubbliche romane. Gian Marco Innocenti è stato in un lontano passato consigliere di Farmacap, la società delle farmacie comunali sempre in perdita di cui ora il sindaco Ignazio Marino vorrebbe disfarsi, ma soprattutto vicepresidente per cinque anni dell’Atac, l’azienda dei trasporti del Campidoglio. Corre quindi l’obbligo di ricordare una sua singolare esperienza all’Auditorium della Conciliazione che risale proprio a quel periodo. Innocenti era infatti azionista di una società privata, I Borghi, con interessi in quella struttura e soci eccellenti. Con lui c’erano infatti l’ex segretario dell’Udc Lorenzo Cesa e l’ex assessore Francesco Carducci, in seguito consigliere regionale per il partito di Cesa.
I Borghi aveva elaborato un progetto di restauro per l’Auditorium che venne generosamente finanziato con fondi pubblici. Seicentomila euro arrivarono da Arcus, la società dei Beni culturali, ma molti soldi ce li mise pure la Regione Lazio. E per non essere da meno, anche la Provincia di Roma staccò un bell’assegno: un milione e mezzo di euro.