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 2015  febbraio 09 Lunedì calendario

Al congresso di Scelta Civica torna l’orgoglio dello zerovirgola in chiave anti-Renzi. E poi il tributo a Zanetti, nuovo segretario

Affiora una strana euforia da sopravvissuti al centro congressi di via Alibert, dove Scelta Civica, o quello che ne rimane, festeggia con un nuovo e incerto battesimo la propria rinascita, quando invece c’era chi aveva già preparato la cassa da morto. «Ci siamo purificati» fa con smorfia da malizioso siciliano Andrea Vecchio, deputato, 76 anni, abbozzando una spiegazione dell’erosione di quello strano oggetto che è stato Sc dall’intuizione sfortunata di Mario Monti fino al trasloco di parlamentari nel Pd renziano. «Avevamo imbarcato di tutto». Accanto, Mariano Rabino, ex Pd, deputato fiero di essere rimasto in Sc, esorcizza gli ultimi eventi: «Siamo così all’avanguardia, che prima ancora del Senato abbiamo abolito i senatori». 
La sala è piccola, ma colma di entusiastici supporter, per lo più in giacca e cravatta che sventolano il cartello «Keep Calm and Love Scelta Civica». Commercialisti e imprenditori tra cui spiccano soprattutto accenti veneti o campani. Dicono che su 3600 iscritti, un migliaio almeno vengano dalle province di Napoli e Avellino, dove ha la sua base elettorale l’onorevole Antimo Cesaro. Di votanti però, per eleggere il segretario, in tutto sono 217. È la taglia di un partito al lumicino che si affida all’impetuoso sottosegretario Enrico Zanetti che alla sua incoronazione lavora da mesi e con tanto di scalpo al governo, sulla franchigia del 3% alle frodi fiscali scoperta dopo Natale. 
Al motto di «partitini di tutta Italia unitevi», Zanetti, senza più senatori, liquidati con una citazione dall’«Invasione degli Ultracorpi» («sembravano come noi, ma erano del Pd») e con il suo esercito di 23 deputati, di cui due, Stefano Quintarelli e Gianfranco Librandi, in bilico, s’inserisce nel lungo elenco dei picconatori dell’Italicum: «Così com’è non va». Chiede un ripensamento della formula elettorale, in modo che «sia garantito un apparentamento al ballottaggio». In soldoni, se il premio va alla lista, e al secondo turno, Sc dà indicazione di votare il Pd, che cos’avrà in cambio?
Il primo congresso di Sc, più che lo scontato tributo a Zanetti si rivela una festa del piccolo ma bello, dell’orgoglio dello zerovirgola in chiave anti-Renzi. I partiti invitati sono tutti in prima fila, divisi tra maggioranza e opposizione. E però gli schieramenti non contano più di tanto, se Gaetano Quagliariello di Ncd annuisce ad Arturo Scotto di Sel, quando citando Piero Calamandrei dice che non si possono «barattare le proprie idee con qualcuno che dice che non valete niente». Mentre tocca a Bruno Tabacci ricordare che «senza lo 0,5 di Cd il Pd non avrebbe preso il premio di maggioranza alla Camera». Ci si incoraggia a vicenda e Zanetti raccoglie inviti: di Corrado Passera che apre a «una casa unica», e di Quagliariello che offre un «patto di consultazione». 
Il neo-segretario calza bene il ruolo da leader, con una parlantina vigorosa da trascina-popolo, se solo ci fosse un popolo, qui. Raccoglie un bulgaro 95% e vota se stesso, invece che, più cavallerescamente, l’altra candidata rimasta, Luciana Cazzaniga, che dalla seta comasca a Pompei a Cadore, ha elencato, un po’ alla Jovanotti, tutta una serie di motivi per cui vale la pena di essere italiani. C’era anche Benedetto della Vedova, viceministro, in corsa con una strana mozione, intitolata «Per non sfasciare tutto», che consigliava la liquidazione del partito. Come annunciato ritira la mozione e lascia Sc ma da renziano convinto andrà al Misto. Facile profeta dello sfascio, recita il suo requiem dal palco: «Non credo al partitino dei migliori, le nostre strade si separano». Dalla platea gli urlano: «Allora dimettiti». E lui, tra i denti: «Da che, da uomo?».