La Stampa, 9 febbraio 2015
Bossi è di nuovo amico di Berlusconi e la Lega gli toglie cinque assistenti. Dice che è per via dei debiti ma al Senatùr poter contare solo su un giovane militante di stanza in via Bellerio non va giù. Il partito non avrà il becco di un quattrino ma lui ci vede una malizia, di Maroni o di Salvini, volta a togliergli la residua agibilità politica
La notizia si è sparsa in un battibaleno nel pianeta berlusconiano, come se svelasse un pregiudizio di Salvini nei confronti dell’ex Cavaliere. Da quando il vecchio Bossi ha ripreso a frequentare l’amico Silvio (questo sostengono ad Arcore), la vendetta del giovane Matteo si è abbattuta implacabile. Dalla sera alla mattina il Senatùr si è visto togliere 5 diretti collaboratori tra Milano e Roma con la motivazione che la Lega, al pari di tutti gli altri partiti, sta sprofondando tra le cambiali e dunque il personale in surplus dev’essere licenziato.
Il taglio, va subito chiarito, non riguarda soltanto Bossi. I dipendenti destinati alla cassa integrazione sono complessivamente 71. Le cronache dei mesi scorsi hanno già dato conto delle loro proteste, che sono culminate a metà gennaio in una manifestazione proprio davanti alla sede leghista, dove hanno cambiato prudentemente un certo numero di serrature.
Rivolta inutile, tuttavia, perché i denari per gli stipendi non sono spuntati fuori. Quanti si salveranno sono al massimo una decina. Ed è in questo contesto di tagli dolorosi che nella notte tra venerdì e sabato gli assistenti del Senatùr (Giambattista, Luca, Emiliano, Marino e Andrea) hanno ricevuto una mail che li colloca in ferie con effetto immediato e, a seguire, in cassa integrazione. Bossi potrà appoggiarsi solo su Diego, un giovane militante di stanza a via Bellerio.
Sennonché il padre fondatore della Lega non l’ha presa affatto bene. Lui cala tutte le settimane a Roma, dove rimane dal martedì al venerdì, deputato super-assiduo in rapporto alle sue condizioni di salute. Incontra alla Camera politici di lungo corso, va a cena con Tremonti e sempre più spesso si siede a tavola con Berlusconi al quale è prodigo di consigli e di affettuosi rimbrotti.
Durante le elezioni presidenziali ha rilasciato interviste a raffica ed è andato platealmente a stringere la mano a Renzi e perfino ad Alfano, che Salvini caccerebbe a pedate dal Viminale.
Ma cosa se ne fa il Senatùr di tutti quei collaboratori? Semplice: le sue condizioni di salute, mai del tutto ristabilite, richiedono che qualcuno gli stia sempre accanto, di giorno e di notte, in tre turni da otto ore. Licenziare gli assistenti, insomma, equivale nei fatti a precludergli la possibilità di frequentare la politica romana.
La Lega non ha il becco di un quattrino. Ma Bossi ci vede una malizia, di Maroni o di Salvini vai a sapere, volta a togliergli la residua agibilità politica. E così la vicenda, per quanto minuscola, è rimbalzata ad Arcore molto ingigantita.