la Repubblica, 9 febbraio 2015
La dura vita dell’allenatore della nazionale, solo contro tutti. Conflitti con i club e interessi privati: tutto uguale al passato. Ne parlano gli ex tecnici azzurri
Il più duro è Zoff. «Conte si decida: o sta da una parte o sta dall’altra». Il più morbido è Trapattoni. «Antonio faccia di necessità virtù». Il più distaccato è Cesare Maldini. «Quello che gli sta capitando è già capitato a 100 ct prima di lui». Il più tranquillizzante è Lippi. «È una persona molto seria, porterà fino in fondo l’impegno che si è preso». Il più allarmato è Sacchi. «È un valore assoluto, non bisogna perderlo». Il più disincantato è Donadoni. «La questione del campionato da anticipare la sollevai io. Ma gli interessi particolari continuano a prevalere». Il più imperturbabile è Vicini. «Un ct sa che cosa lo aspetta. Conte non butti via le ottime cose che ha fatto». Il più amareggiato, sabato, era già stato Prandelli, fresco di ferite per l’esperienza azzurra. «Capisco Antonio. E mi dispiace molto».
Nel 2000 Zoff si dimise, all’indomani della gloriosa sconfitta nella finale dell’Europeo al golden gol con la Francia: Berlusconi, anche allora capo dell’opposizione al governo, gli aveva dato del dilettante. Fu una notevole prova di dignità, che autorizza l’aut aut. «Conte è stato un mio giocatore in Nazionale: straordinario. E straordinario è da allenatore. È comprensibile che abbia bisogno di un po’ di tempo in più per la squadra. Però tutti abbiamo lavorato in questa maniera e nessuno ha mai detto niente. Deve decidersi: o da una parte o dall’altra».
Dal 1991 al ‘96 Sacchi rivoluzionò abitudini, gioco, mentalità. Introdusse gli stage, che avrebbe poi ripristinato per le Under azzurre, da lui dirette fino all’anno scorso. «Aumentare il numero di partite internazionali delle Under e gli investimenti per gli stage è servito a migliorare i risultati. Ma il nostro Paese ha sempre paura di tutto, domina l’egoismo. Se un allenatore non allena, non è un allenatore. E una squadra cresce soltanto attraverso il lavoro. Tre giorni di lavoro in meno su 365 non fanno la differenza, ma su 30 sì, sono il 10%. Antonio è un grandissimo allenatore, un maestro. Non ne abbiamo tantissimi, abbiamo molti orecchianti, che seguono la moda del momento. È un valore assoluto da non perdere, anche se spesso ci attacchiamo appunto a una persona di valore, che ci faccia stare tranquilli per 4 anni».
Vicini nell’88 travasò in Nazionale un’Under piena di talenti, in un calendario più ragionevole di adesso. «Il crollo del muro di Berlino ha moltiplicato le federazioni e le partite, le coppe europee si sono dilatate. Ma non c’è da stupirsi: la situazione di difficoltà è per tutte le Nazionali europee ed era nota anche a Conte. Se fossi in lui, resterei. Ci vede chiarissimo ed è partito molto bene». La saggezza è la cifra di Cesare Maldini, il cui biennio, dal 1996 al ‘98, fu un dignitosissimo slalom tra le richieste dei club e un’opinione pubblica che pretendeva il massimo. «È normale, da ct, trovarsi sempre di fronte a qualcosa che non va. Comandano i club: le frasi che sento oggi sono le stesse di 20 anni fa. Tu puoi chiedere, ma decide la Lega dei presidenti e allora ti devi adeguare. Conte si rassegni, ci siamo passati tutti».
Ci passò anche Trapattoni, dal 2000 al 2004, magari un po’ più degli altri: le società contingentavano i convocati per le amichevoli. «È un serpente con la coda in bocca. I club sono società per azioni, fanno business: io, per mediare, chiamavo personalmente presidenti e direttori sportivi. Il mio suggerimento è di fare di necessità virtù, convocando nuovi giocatori perché faccia- no esperienza. Le dimissioni sono una provocazione e non servono: dopo di te arriva sempre qualcun altro. Ma conosco benissimo Antonio, da calciatore lo lanciai io. È uno che non si arrende».
Lo conosce altrettanto Lippi, il cui duplice regno (2004-2006, 2010-2012) fu improntato al pragmatismo. «Gli stage hanno poca importanza e non li fa nessuno, ma Conte è una persona molto seria e credo che porterà fino in fondo l’impegno che si è preso. Certo, può darsi che sia deluso e dispiaciuto: l’impoverimento del bacino cui attingere è un dato di fatto. Io nel 2006 pescavo da un 65% di giocatori convocabili, oggi ci sono 4-5 squadre interamente “straniere”. La questione più influente mi sembra quella delle date».
Donadoni, ct dal 2006 al 2008, la mise invano al centro della programmazione. «Mi pareva indispensabile anticipare il campionato. Ogni ct ha la propria storia, ma quello di Conte sul calendario non è certo un capriccio, è buon senso. Peccato che prevalgano sempre il business e la logica dell’orticello. Gli interessi personali di qualcuno impediscono la soluzione più semplice: mettersi a un tavolo a ragionare. In 8 anni non è cambiato nulla». I presidenti, rivela un membro del consiglio federale dietro anonimato, non vogliono il campionato a Ferragosto per non interrompere le vacanze estive. La Nazionale, sentitamente, ringrazia.