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 2015  febbraio 09 Lunedì calendario

La sindrome del cedimento dell’Occidente. La questione ucraina riporta al 1938, quando l’Europa soccombeva alle minacce di Hitler. Anche se oggi non c’è un fürher da ammansire ma un virtuale partner da recuperare mettendo sul tavolo forti ragioni e interessi reciproci, non ricatti

Guardiamoci dalla «sindrome di Monaco» di fronte ai tentativi di riaprire un dialogo con Putin sul caso ucraino e le sue serie conseguenze. È la sindrome del cedimento dell’Occidente nel 1938 alle minacce di Hitler: il famigerato «appeasement» legato alla patetica figura del premier inglese con l’ombrello, Neville Chamberlain. È un’analogia storica insostenibile. L’unico punto in comune è la città di Monaco dove hanno luogo gli incontri. Ma accettiamo la provocazione del confronto, per renderci conto delle differenze e della nuova qualità della sfida politica.
Ricordiamo che cosa è successo il 29 e 30 settembre 1938 tra le quattro «grandi potenze» europee di allora – Regno Unito, Francia, Germania e Italia (rappresentata da Mussolini che avrebbe vantato un ruolo da protagonista). È presto detto: le due potenze occidentali e l’Italia riconoscono alla Germania il diritto di riprendersi il territorio dei Sudeti che la pace di Versailles (del 1919) aveva assegnato alla Cecoslovacchia e che Hitler minacciava di annettersi con la forza a costo di un conflitto europeo. In compenso il dittatore nazista sembra promettere di non avanzare più altre rivendicazioni.
La questione in realtà è più ambigua e contorta, nelle stesse intenzioni di Hitler; ma al momento il messaggio all’opinione pubblica mondiale è esplicito e rasserenante: con gli accordi di Monaco «la pace è salva». Il prezzo è l’incredibile umiliazione inflitta ai cecoslovacchi cui non è riconosciuto neppure il diritto di partecipare alla trattativa.
Soltanto con il passare degli anni la fotografia del premier inglese che scende dall’aereo a Londra, agitando il pezzo di carta della pace, sarà tra le più imbarazzanti della storia. In realtà l’autoinganno era condiviso dalla stragrande maggioranza degli osservatori. La ragione è semplice, anche se oggi – con il senno di poi – si fa fatica a capirlo. Si dava cioè credito a Hitler di voler abbandonare ogni ulteriore ricorso alla violenza; non si coglieva l’incorreggibile carattere totalitario e prevaricatore del sistema nazista. Questo invece si rivela ben presto: nella notte dei cristalli (novembre 1938), nell’occupazione di Praga (marzo 1939) e nello smembramento della Cecoslovacchia. A questo punto lo stesso Chamberlain, pur senza assumere un atteggiamento di aperta ostilità anti-tedesca, prepara di fatto la nazione inglese all’eventualità della guerra. Sarà lui a dichiarare per primo la guerra alla Germania nel settembre 1939, dopo l’invasione della Polonia, mentre Mussolini si defila momentaneamente dietro «la non belligeranza» dell’Italia. Questa la nuda cronaca.
Quali analogie?
È sensato ora cercare analogie dirette con il comportamento di Vladimir Putin: annessione russa della Crimea, appoggio ai secessionisti ucraini, accusa agli occidentali di interferire nella vicenda ucraina manipolandola, ecc? E quindi la reazione di protesta e di imbarazzo degli occidentali che li porta ora a Monaco a trovare una via d’uscita? Da parte russa non c’è in atto nessun rifiuto del Diktat di Versailles ma certamente il presidente Putin rinfaccia all’Occidente d’avere approfittato della caduta del Muro di Berlino e della dissoluzione del sistema sovietico per far avanzare impropriamente la Nato sino ai confini della Russia, per limitarne lo spazio di sviluppo e di autonomia. E ha risposto con l’annessione della Crimea.
Interessi incrociati
Ma il quadro è ancora più complicato perché la politica russa degli anni scorsi era stata caratterizzata dalla ricerca di intesa con l’Occidente, con l’Unione europea, con la Germania in particolare. Tra Russia e Germania si è creata una forma di interdipendenza energetica ed economica che ha suggerito addirittura l’ipotesi di una apertura strategica tedesca verso oriente – in alternativa alle difficoltà interne alla Ue (l’autorevole «Foreign Affair», nel suo primo numero del 2015, pubblica un articolo intitolato Leaving the West Behind. Germany Looks East).
Perché in modo inatteso è esplosa la crisi attuale innescata dal conflitto russo-ucraino? Solo se si comprendono le ragioni specifiche di questo conflitto, si può trovare – a partire da Monaco 2015 – una soluzione che escluda nel modo più fermo il ricorso alle armi senza la sindrome dell’«appeasement» della Monaco 1938. Non c’è un Hitler da ammansire ma un virtuale partner da recuperare mettendo sul tavolo forti ragioni e interessi reciproci, non cedimenti o ricatti.
Sono molte le diagnosi che circolano sulla cause della crisi. Certamente vanno scartate quelle più grossolane che fanno di Putin un aspirante dittatore o un nostalgico delle maniere forti dell’era sovietica tese a ricuperare prestigio nazionale e imperiale ricattando o minacciando l’Occidente. Al contrario paradossalmente vanno riconosciute le ragioni che hanno portato Putin a compiere gravi errori politici come l’annessione della Crimea. È un errore irrimediabile o è ripagabile con mutamenti di comportamento concordati con gli avversari-interlocutori occidentali? Ma chi sono i veri interlocutori di Putin? Non serve parlare genericamente o enfaticamente di Occidente. È la Nato? L’Unione europea? L’America di Obama (o di chi lo consiglia)?
Un punto è augurabile: che sia l’Unione europea, magari (fatalmente) tramite i suoi governi più autorevoli, a gestire la trattativa, ridimensionando e subordinando il ruolo della Nato. È una questione di grande politica, non di esibizione muscolare.