Corriere della Sera, 9 febbraio 2015
«Quando il navigatore indicava che mancavano sei minuti all’ospedale, Pino smise di parlare». Parla Amanda Bonini la compagna di Daniele. «Ora la mia vita è un incubo e a volte vorrei non svegliarmi più»
La sera del 4 gennaio, nel Suv che dalla Maremma sfrecciava verso Roma, destinazione Sant’Eugenio, Pino Daniele era lucido e vigile, e «riferiva continuamente i sintomi di quello che gli stava accadendo». Solo fino a un certo punto, però. Perché «quando il navigatore indicava che mancavano sei minuti all’ospedale smise di parlare».
Amanda Bonini, la compagna del cantautore, che era con lui nel casale di Magliano quando comparvero i primi segnali del malore, e che gli fu accanto durante quella corsa folle e disperata, racconta le ultime ore di vita di Pino Daniele. Finora aveva parlato solo con il magistrato che indaga per stabilire se con un soccorso più tempestivo l’artista potesse essere salvato e se, eventualmente, ci sia qualcuno responsabile penalmente di ciò che avvenne. Per il resto aveva preferito il silenzio, pur sapendo che altri che facevano parte della vita del suo compagno, in particolare la moglie Fabiola Sciabbarrasi, la ritengono responsabile almeno di non aver imposto a Pino di lasciarsi accompagnare al più vicino ospedale.
Nei giorni scorsi, però, è successo qualcosa che l’ha spinta a cambiare comportamento. Dopo gli esami eseguiti il 2 febbraio sul cuore del cantante – espiantato durante l’autopsia per eseguire accertamenti di laboratorio attraverso cui si spera di dare risposte al quesito del pm – era circolata l’indiscrezione che a provocare la morte di Daniele fu l’ostruzione di un bypass. E poiché l’ostruzione di un vaso può essere trattata e risolta, purché in tempi brevi, con una angioplastica, ne consegue che la scelta di andare fino al Sant’Eugenio sia stata quantomeno una concausa della tragedia.
Insomma, Amanda Bonini deve essersi sentita sotto accusa, anche perché mentre il perito incaricato dalla Procura di Roma, il professor Vittorio Fineschi, si mantiene cauto («Ci vorrà almeno un mese per avere i primi risultati, ora è troppo presto per dire qualsiasi cosa»), lo è molto meno il medico legale scelto come consulente da Fabiola Sciabbarrasi, la dottoressa Luisa Regimenti: «Le condizioni cardiologiche di Pino Daniele destavano preoccupazioni già dal 2 gennaio», sostiene. Quindi «poiché la lesione cardiaca si produsse in un tempo lunghissimo, è evidente che la tempestività dei soccorsi o il loro ritardo sposti di molto l’esito e le responsabilità».
E a soccorrere Pino Daniele quella sera c’era Amanda, anche se in casa, è lei stessa a raccontarlo, c’erano anche Cristina, la figlia più grande del cantante, nata dal primo matrimonio, due figli più piccoli, e i due figli della donna: Francesco, che telefonò al 118 per chiedere l’intervento di un’ambulanza poi rimandata indietro, ed Eleonora. Fu Pino, racconta Amanda, a decidere tutto: di rinunciare ai soccorsi ormai quasi arrivati, e di andare a Roma: «Lui era determinato e autoritario. Non voleva farsi mettere le mani addosso da nessuno che non fosse il suo cardiologo di fiducia e niente gli avrebbe fatto cambiare idea. Non lo abbiamo contraddetto per non farlo agitare».
A casa aveva avuto un collasso, «ma gli avevamo alzato le gambe e si era ripreso. E non pensava di avere un infarto, piuttosto un ictus perché avvertiva un formicolio alle gambe». Ma ora, «sapere per quale causa è morto non lenisce il dolore. Ora la mia vita è un incubo e a volte vorrei non svegliarmi più».