la Repubblica, 9 febbraio 2015
Il tramonto di Silvio Berlusconi è tutto nel modo scomposto e incoerente con cui da un paio di giorni pretende di guidare la riscossa contro il traditore del Nazareno: ossia l’alleato di ieri, Matteo Renzi. Non c’è nemmeno l’idea di una strategia politica, tanto meno di un disegno per il paese
Il tramonto di Silvio Berlusconi è tutto nel modo scomposto e incoerente con cui da un paio di giorni pretende di guidare la riscossa contro il traditore del Nazareno: ossia l’alleato di ieri, Matteo Renzi. Non c’è nemmeno l’idea di una strategia politica, tanto meno di un disegno per il paese.
Con un centrodestra in frantumi e bisognoso di urgenti restauri, il vecchio leader avrebbe ancora molto da fare. Ma le sue sfuriate sono solo rabbiose e vendicative. Abbastanza astute, tuttavia, per non bruciarsi tutti i ponti alle spalle. Infatti promette «opposizione a 360 gradi», una sorta di guerra nucleare, ma poi si affretta a precisare che Forza Italia «voterà alcune riforme positive». Apre il fuoco contro la nuova legge elettorale, evocando addirittura «derive autoritarie», ma non sa spiegare perché l’ha votata pochi giorni fa, giusto alla vigilia del grande torneo del Quirinale. L’ha approvata con il premio alla lista vincitrice e non alla coalizione, proprio quello che adesso all’improvviso contesta. E con i capilista bloccati, sua precisa richiesta invano contestata dalla minoranza del Pd.
Si potrebbe continuare. Il problema però è che quasi nessuno ha preso sul serio l’intemerata. Se Berlusconi voleva proporre una versione aggiornata del famoso «discorso del predellino», come dire un rilancio di se stesso e del suo partito, ha solo fornito la conferma che il tempo è passato inesorabile. Del resto il patto del Nazareno, così come lo concepivano a Palazzo Grazioli, era solo un’illusione: troppo grande lo squilibrio fra i due contraenti, troppo sbilanciato il rapporto di forza a vantaggio di Renzi. E adesso, con gli attacchi degli ultimi due giorni, è emersa per intero la debolezza di un leader che vorrebbe riaccendere i fuochi del passato, ma in cuor suo è consapevole di non essere più in grado di fare la storia.
In fondo non è la prima volta che Berlusconi mette in mostra la sua anima estremista: di solito, nel corso degli anni, essa veniva rispolverata quando la tendenza compromissoria incontrava difficoltà e c’era da marcare un passaggio di fase. Avvenne così nel 1998, quando rovesciò il tavolo della commissione Bicamerale, e ancora nel 2007, quando lanciò – in piazza San Babila a Milano, da un’automobile – il nuovo partito della destra che di lì a poco avrebbe vinto le elezioni. Allora però esisteva un progetto politico o almeno elettorale. Oggi sembra non esserci nulla, se non un desiderio di rivalsa e la voglia di intimorire il fedifrago di Palazzo Chigi. Il quale però ha già incassato il «sì» alla riforma elettorale al Senato: alla Camera si vedrà, ma la maggioranza è piuttosto ampia, benché non compatta. E se Renzi dovrà pagare qualche prezzo, sarà al suo partito, non certo a Forza Italia.
Quanto alle riforme costituzionali, a cominciare dalla trasformazione del Senato, sono da domani all’esame di Montecitorio. Vale lo stesso discorso fatto per la legge elettorale: la maggioranza sulla carta ha i numeri. Ci sarà ovviamente un altro passaggio a Palazzo Madama, dove il margine è minimo, ma sul piano tattico la situazione è favorevole a Renzi. Se le minacce di Berlusconi non ottengono risultati a breve termine, certificano la fine definitiva di un potere d’interdizione che in passato è stato considerevole. Prima di allora, c’è da crederlo, il capo di quel che resta di Forza Italia tornerà sui suoi passi. Riprenderà l’immagine dell’uomo disposto a collaborare con il centrosinistra nell’interesse generale.
Lo farà anche senza aver ottenuto la grazia e la piena riabilitazione, a meno di non voler regalare Forza Italia a Salvini che già oggi è in grado di dettare condizioni. Sarà un patto del Nazareno in sedicesimo, quando invece al centrodestra servirebbe una vera rifondazione in nome della cultura liberale e della scelta europea. Ma non è certo Berlusconi la figura in grado di interpretare tale esigenza.