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 2015  febbraio 09 Lunedì calendario

La filiale di Ginevra della Hsbc e quei memo riservati. I consigli ai clienti: «Meglio scegliere nomi in codice»

C’è il finanziere australiano Charles Goode, allora presidente della banca Anz di Melbourne, convinto dai «private banker» di Hsbc a farsi chiamare con un nome in codice neppure tanto fantasioso, «Mister Shaw». Oppure il facoltoso cliente britannico Keith Humphreys, direttore dello Stoke City football club e con un gruzzoletto frutto della cessione di una piccola catena di supermercati, istruito sul modo in cui procurarsi denaro offshore, ovviamente non dichiarato, grazie a una carta di credito. O quello più «modesto» (Andrew Sebastian) al quale la filiale svizzera nel corso di un anno ha recapitato in un anno 50 mila sterline in banconote.
Inutile dire che tutti, alla fine, l’hanno pagata cara: gli ultimi due, ad esempio, hanno dovuto restituire al Fisco britannico rispettivamente 224 mila e 64 mila dollari. Ma sono solo alcuni esempi «ordinari» della sterminata clientela del braccio ginevrino della banca, che nel momento del suo massimo splendore è arrivata a gestire patrimoni e attività per un valore complessivo di 120 miliardi di dollari. Fondi raccolti da facoltosi clienti in giro per il mondo (non tutti evasori, naturalmente) e già oggetto di indagini e procedimenti giudiziari in Francia, Belgio, Stati Uniti e Argentina. Non ancora nel Regno Unito, almeno fino a ieri.
Ma anche quei 120 miliardi, tutto sommato, non sarebbero che una goccia d’acqua nel grande mare del gruppo Hsbc, acronimo che sta per Hongkong & Shanghai Banking Corporation, fondata nell’allora colonia inglese nel 1865 dallo scozzese Thomas Sutherland. La Hsbc, se si dà retta a Forbes, è la seconda banca del mondo dopo la cinese Icbc e prima della francese Credit Agricole. Gestiva, dollaro più dollaro meno, più di 2.700 miliardi di dollari di attivi, per intendersi più di una volta e mezza il pil italiano.
Malgrado le dimensioni, però, i suoi banker dimostrano un tatto, un’accuratezza e una conoscenza della psicologia dei loro ricchi investitori assolutamente straordinaria. I documenti da firmare vengono portati a domicilio per evitare che i clienti si sentano a disagio nel portarli con sè. Le rassicurazioni si sprecano verso chi manifesta il dubbio che le autorità (quelle irlandesi nel caso in questione) possano venire a conoscenza dell’esistenza dei conti svizzeri. Rapporti e relazioni tutti documentati nei file che descrivono le attività intraprese con e nei confronti dei clienti. Come quando si consente agli amministratori di un’azienda tessile di nascondere «azioni al portatore» non registrate, al fine di occultare i reali proprietari dell’azienda. Oppure si suggerisce al cliente che vuole condividere un conto in nero con la figlia, che lei si sentirebbe forse a disagio visto che lavora come «compliance officer» (il manager che si accerta che le regole siano rispettate) in una banca come Kleinwort Benson.
Un catalogo di pratiche al limite dell’illecito (e spesso realmente illecite) che tuttavia la banca Hsbc di oggi guarda come un retaggio del passato. A margine dell’inchiesta, all’istituto di credito viene lasciato lo spazio per provare a discolparsi e a spiegare i motivi sottostanti quelle pratiche. Così Hsbc, che riconosce di poter essere chiamata in causa per mancati controlli, sostiene che sono stati già fatti importanti passi avanti per implementare riforme e per liberarsi di quei clienti che non incontrano i nuovi e stringenti standard introdotti. La base di clienti della filiale svizzera si è già ridotta, aggiunge, di quasi il 70% dal 2007. E la banca, tra l’altro, può rifiutarsi di avallare ritiri di contante sopra 10 mila dollari. Sarà sufficiente?