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 2015  febbraio 06 Venerdì calendario

«Il rischio default per la Grecia è improbabile. Non le conviene perché non ha le spalle abbastanza larghe per affrontare blocco dei capitali e nazionalizzazione delle banche. Ma i costi di finanziamento saranno molto elevati». E poi non conviene neanche all’Europa. Parla Gregorio De Felice, capo economista di Intesa-Sanpaolo

La Grecia in default? Un film improbabile. Anche dopo lo strappo «dovuto» della Bce. «Non conviene alla Grecia che non ha le spalle larghe per affrontare blocco dei capitali e nazionalizzazione delle banche». Per non parlare dello scenario di una nuova dracma svalutata che renderebbe insopportabile il peso delle importazioni di energia a fronte degli scarsi benefici dell’export. Ma uno scenario estremo, avverte Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo, non conviene nemmeno all’Europa. Nonostante tutti i paracadute anti-contagio attivati negli anni, l’uscita di un Paese dall’euro rimane comunque un precedente «da evitare».
Fino a che punto quella della Bce è da considerare una mossa di pressione politica?
«La decisione di Draghi è stata innanzitutto un’atto dovuto, visto che Tsipras ha strappato il programma firmato con la Troika. Insomma, statuto dell’Eurotower alla mano, il consiglio direttivo non poteva fare diversamente. Non poteva permettere che il piano della Troika si trasformasse in un finanziamento tout court allo Stato greco. È un dato di fatto poi che questo atto sia diventato uno strumento di pressione politica sul governo greco e sull’Eurogruppo che si riunirà l’11 febbraio».
Tattica o no, si può dire che Tsipras abbia le spalle al muro?
«Di fatto in questo momento sì. Se vuole evitare il baratro dovrà rivedere drasticamente le promesse da campagna elettorale».
Quali sono, sotto il profilo tecnico, le conseguenze immediate per la Grecia?
«Le banche di Atene devono sostituire i crediti ottenuti dalla Bce con liquidità di emergenza, ovvero con il sistema Ela. Tuttavia, questo strumento, che fa arrivare liquidità da Francoforte attraverso la banca centrale greca, è giustificato da un’emergenza di liquidità e soprattutto deve passare sempre dal vaglio della Bce. Il punto è che in questa situazione per la Grecia è molto difficile ottenere nuovi finanziamenti dopo aver già avuto oltre 250 miliardi, tra l’altro a tassi bassissimi».
In attesa di capire come finirà la trattativa con la Troika, gli istituti greci faranno i conti anche con maggiori costi di finanziamento e minori utili. Con quale impatto per il Paese?
«Basti dire che dai finanziamenti della Bce (allo 0,05%) si passa a un extra costo di 150 punti base. Un fardello che si aggiunge a quello dei deflussi di depositi che fino alle elezioni di fine gennaio erano arrivati a quota 17 miliardi, il 10% del totale. Poi ci sono le perdite prevedibili legate alla montagna di titoli greci nei portafogli degli istituti di Atene. E il mercato di certo non aiuta, vista l’inversione della curva dei tassi fotografata in queste ore: i rendimenti a 2 anni dei bond greci sono più alti di quelli a 10 anni e questo è un pessimo segnale della solvibilità del Paese. Senza contare l’automatica esclusione dai piano di acquisti (Qe) e dai prestiti Tltro della Bce».
Sul mercato si parla di 30 miliardi di finanziamenti bloccati dalla Bce. Secondo lei, è una cifra verosimile?
«Di fatto sono congelati i 7 miliardi del Fmi che dovevano arrivare a febbraio, oltre ai 7 miliardi di arretrati relativi al 2014. Poi ci sono i Treasury Bill in scadenza nel 2015: 14,5 miliardi, di cui 13,6 in scadenza a maggio. Per arrivare infine ai 6,7 miliardi da rimborsare tra il 20 luglio e il 20 agosto».
Quale può essere il punto di caduta della trattativa che Atene deve avviare con la Troika?
«La chiave può essere un allungamento dei tempi di rimborso dei prestiti, ma anche una revisione della tabella di marcia delle privatizzazioni e delle riforme. A complicare la trattativa c’è anche la tecnicalità di un accordo che dovrebbe passare dal Parlamento europeo. Con tutte le criticità che questo può fare immaginare dovendo passare al vaglio della Germania, oppure di Paesi sotto elezioni come la Spagna».
Seppure altamente improbabile, quali possono essere i rischi di un Grexit per il resto dell’Europa e quindi per l’Italia?
«Nel 2012 la Grecia era un problema per l’Europa. Ma l’architettura istituzionale creata negli ultimi anni, dal Fondo salva-Stati all’Unione bancaria passando per i progressi fatti dai vari Paesi nella finanza pubblica, fino al paracadute che scatterà con il Quantitative easing, rendono il quadro assai diverso. Meno problematico. La volatilità sostanzialmente contenuta sui mercati ne è la prova».