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 2015  febbraio 06 Venerdì calendario

Il trattato transatlantico che ci renderà succubi dell’America. Si tratta di una gigantesca zona di libero scambio tra l’Ue e gli Usa, ma sarebbe loro a dettare le regole. «E la sovranità degli stati? Scomparirebbe». Lo spiega Alain de Benoist, anche in un libro

«Scompariranno le ultime tracce di sovranità, e gli Stati potrebbero essere trascinati davanti a un tribunale di cui dovranno accettare le sentenze senza possibilità di appello». Una situazione ben peggiore dell’attuale dunque, in cui gli Stati e la volontà popolare pesano sempre meno nelle decisioni. E tutto in seguito al TTIP,  il Trattato transatlantico di cui poco si parla ma che calerà nei prossimi anni sulle teste di tutti gli europei senza che abbiano avuto modo di sceglierlo. Ne parliamo con Alain de Benoist, uno dei maggiori pensatori non conformisti del Vecchio Continente, di cui in Francia è appena uscito Le Traité transatlantique et autres menaces (Editions Pierre-Guillaume de Roux, pp. 250, euro 23).
Che cos’è il Trattato transatlantico di cui in Italia non si sa quasi nulla?
«Si tratta di un accordo da cui nascerà un “grande mercato” che darà origine, attraverso un’ampia deregulation, a una gigantesca zona di libero scambio tra l’Ue e gli Usa. Una volta attuato comprenderà più di 800 milioni di consumatori, la metà del PIL del pianeta e il 40% del commercio mondiale».
Da dove nasce l’idea?
«La liberalizzazione totale del commercio è un vecchio obiettivo degli ambienti finanziari e liberali. Ma il TTIP è maturato in silenzio in oltre vent’anni nei corridoi del potere a Washington e a Bruxelles. Dal 14 giugno 2013 poi è entrato in una fase attiva: allora i governi degli Stati dell’Ue hanno dato mandato esclusivo alla Commissione europea di negoziare con il governo Usa i criteri per generare questo mercato comune transatlantico. Dopo un mese si organizzarono già i primi incontri che continuano oggi. Le ricordo che lo scorso 2 febbraio a Bruxelles è partita l’ottava fase della trattativa».
Ma cosa prevede il trattato?
«Al di là della rimozione delle barriere doganali, che non sono il nodo più importante, i pericoli sono principalmente due».
Quali?
«Primo: la rimozione delle barriere non tariffarie, cioè di tutte le norme e gli standard sanitari, sociali, ambientali che i negoziatori ritengono dannosi per libertà di commercio».
E il rischio dove sta?
«Nel fatto che è probabile che la convergenza degli standard porterà le norme europee ad allinearsi sugli standard americani, che sono meno vincolanti, e non il contrario. E quindi saranno gli Stati Uniti a imporre all’Europa le loro regole commerciali».
E l’altra minaccia?
«Ancora più grave: l’ istituzione di un meccanismo chiamato “protezione degli investimenti”. Dovrebbe consentire alle aziende private di portare in un tribunale ad hoc gli Stati se la loro legislazione fosse ritenuta lesiva dei profitti delle multinazionali».
E come si risolverebbe la controversia?
«Con un arbitrato discrezionale celebrato da giudici o esperti privati. Il risarcimento sarebbe potenzialmente illimitato, il giudizio inappellabile».
E la sovranità degli Stati?
«Scomparirebbe. Alle multinazionali e ai gruppi finanziari sarebbe sarebbe assegnato uno status giuridico pari a quello degli Stati o delle nazioni». Perché i politici europei non reagiscono?
«Perché fin dall’inizio sono stati tenuti alla larga. C’è stata poca trasparenza nei negoziati. Né l’opinione pubblica né i rappresentanti politici hanno avuto accesso alle informazioni. I cittadini quindi sono stati tenuti all’oscuro di tutto a differenza dei dirigenti delle multinazionali e dei diversi gruppi di pressione, coinvolti invece regolarmente nelle discussioni».
Perché gli Usa vogliono a ogni costo firmare il trattato?
«Il dollaro, negli ultimi anni, sta perdendo peso come moneta di scambio. Così la creazione di una vasta zona di libero commercio con al centro gli Usa permetterebbe di frenare questa tendenza. Inoltre Washington vuole separare il più possibile l’Europa dalla Russia».
Ma ne è certo?
«Si figuri che il Wall Street Journal ha ammesso ingenuamente che il partenariato transatlantico è occasione per riaffermare la leadership globale dell’Occidente in un mondo multipolare. E Obama non ha esitato a presentare il TTIP come una sorta di Nato economica, che come l’alleanza militare sarebbe posta sotto la tutela americana».
Perché lo farebbe?
«Per tutelare l’interesse americano è un bene privare le altre nazioni della possibilità di controllare i vincoli commerciali. E questo andrebbe a profitto delle multinazionali in gran parte controllate da élite finanziarie americane. Solo così gli Usa possono conservare la loro egemonia e ridurre il nostro continente a un semplice mercato a scapito di un’Europa-potenza».
Ma non è in atto anche un negoziato per un Trattato transpacifico?
«Infatti. I due progetti sono complementari. Il Trattato transpacifico è stato promosso nel 2011 dagli Stati Uniti insieme ad altri otto paesi a cui si è aggiunto nel dicembre del 2012 il Giappone. Questo secondo accordo serve a contrastare il crescente potere economico della Cina».
Si realizzerebbe così la globalizzazione sotto l’egida americana…
«Con i due trattati commerciali, cui va aggiunto un altro accordo, il Nafta che unisce gli Usa, il Messico e ii Canada, si copriranno il 90% del PIL mondiale e il 75% degli scambi commerciali. E questo non fa che aumentare la posta in gioco politica che si nasconde dietro questi accordi commerciali».