Libero, 6 febbraio 2015
La Sicilia delle mazzette. Anche dopo il discorso del neopresidente sulla malapolitica, Crocetta non si costituisce parte civile nel processo contro un funzionario perché da quelle parti «le tangenti non suscitano più clamore». Lettera aperta di Belpietro a Mattarella
Caro presidente Mattarella, scusi se ci rivolgiamo a Lei pur sapendoLa molto impegnato, sia nella scelta dello staff che dovrà affiancarLa nel difficile compito di capo dello Stato che con gli appuntamenti che il Suo importante incarico richiede. Intendiamo sottoporLe un quesito che da tempo ci sta a cuore, ritenendo che nessuno meglio di Lei sia in grado di risponderci. La domanda è semplice: la Sicilia fa ancora parte dell’Italia oppure, oltre che una Regione a statuto speciale, è da considerarsi una repubblica autonoma dal resto del Paese? Forse Lei penserà ad una provocazione, ma in realtà noi non abbiamo intenzione di urtare la suscettibilità di alcuno, meno che meno la Sua. Se ci rivolgiamo a Lei non è solo perché è nato a Palermo, ma perché nel Suo discorso di insediamento Lei ha definito la questione della corruzione uno dei principali problemi del Paese. Or bene, la questione è la seguente: da notizie di stampa abbiamo appreso che la Regione guidata da Rosario Crocetta, uomo del Pd oltre che Suo grande elettore, ha deciso di non costituirsi parte civile nel processo per corruzione contro un suo funzionario. Già qui ci sarebbe da ridire, ma in fondo a motivare la scelta ci potrebbero essere ragioni giuridiche a noi sconosciute. In realtà il passo di non chiedere conto delle mazzette intascate da un funzionario dell’ente è stato argomentato con un apposito parere dell’avvocatura distrettuale dello Stato, cioè da un organo tecnico ma che in qualche modo risponde alla politica. Che cosa si sostiene in quella nota depositata durante il dibattimento? Che le tangenti non sono un fattore di particolare «allarme sociale», tale da giustificare una richiesta di risarcimento da parte della Regione. Sì, ha letto bene. Nel documento è scritto (...) :::segue dalla prima MAURIZIO BELPIETRO (...) proprio così. Nonostante la Procura abbia respinto la richiesta di patteggiamento del funzionario, ritenendo gli episodi di corruzione particolarmente gravi, l’ente guidato da Rosario Crocetta, l’uomo che voleva cambiare il mondo e finora è riuscito solo a cambiare più assessori di qualsiasi altro governatore, ha detto che i fatti oggetto di un processo non sono particolarmente gravi da destare allarme. Ah, dimenticavo: il suo grande elettore Crocetta, dopo che la notizia è uscita sui giornali locali, ha annunciato un’inchiesta interna, peccato che l’indagine non serva a far recuperare non solo il tempo perduto ma neppure il danno, in quanto ormai sono scaduti i termini per la costituzione in giudizio e dunque la Regione è ufficialmente fuori dal procedimento. Forse Lei si starà chiedendo perché abbiamo preso carta e penna decidendo di disturbarLa. La risposta è appunto il quel suo discorso di inizio mandato in cui Lei, di fronte alle Camere riunite, ha testualmente declamato che «la lotta alla corruzione è una priorità assoluta». E qui sta un secondo nostro quesito che umilmente Le rivolgiamo: ma se la lotta alla corruzione non la fa l’amministrazione pubblica, la quale addirittura mette nero su bianco che le tangenti non sono un fenomeno tale da destare allarme sociale, ma chi la deve fare? Il cittadino che da solo è costretto a pagare la mazzetta per ottenere un pubblico servizio? Oppure è compito della sola magistratura una volta coinvolta da qualcuno che ha deciso di vuotare il sacco? Se combattere i corrotti è una priorità, perché un’amministrazione dello Stato si può permettere il lusso di dire che i problemi dei cittadini sono altri rispetto alle tangenti? Dobbiamo forse pensare che la Sicilia, più che una Regione a statuto speciale, sia una Regione a corruzione speciale? Naturalmente non vogliamo abusare del Suo tempo e della Sua disponibilità, ma dato che siamo in tema di Sicilia, approfittiamo dell’occasione, segnalandoLe un altro fatto. Domani sulle pagine di alcuni quotidiani, tra i quali il nostro, comparirà una inserzione pubblicitaria della sezione siciliana dell’Associazione nazionale Costruttori edili. Che cosa si dice in quella pagina? Si chiede conto di 27 opere pubbliche, già finanziate e progettate, i cui lavori inspiegabilmente non si riescono ad appaltare. Si tratta di strade, fognature, impianti di depurazione e reti ferroviarie, interventi per un valore di 3 miliardi che per non si sa quale arcano non si riescono a realizzare. Tutto questo mentre la disoccupazione in Sicilia è ai massimi storici, mentre il governo progetta di tornare a istituire un ministero per il Mezzogiorno dotandolo di nuovi fondi. La Sicilia, una Regione che pur essendo dotata di storia e bellezze naturali ha meno turisti delle Baleari, potrebbe spendere 3 miliardi per dotare l’isola di opere infrastrutturali che consentirebbero di dare lavoro oltre che far crescere il prodotto interno lordo, ma non lo fa, dimenticandosi i soldi che già ha in cassa. Forse, caro presidente, Lei si starà chiedendo che cosa centrino fogne e ferrovie con la corruzione. C’entrano. Non solo perché se si fa crescere una Regione e si dà lavoro si sottraggono potenziali candidati alla manovalanza criminale, ma se si sveltiscono le pratiche burocratiche, se si rende automatico il finanziamento delle opere pubbliche e non lo si lascia alla discrezionalità del funzionario o del politico si riducono le occasioni per richiedere una tangente. In poche parole, Signor capo dello Stato, si può far qualcosa affinché anche la Sicilia un giorno non solo ritenga che le tangenti e la corruzione siano un allarme sociale, ma faccia anche tutto ciò che è indispensabile per evitare che le mazzette siano date e, soprattutto, richieste. Grazie.