la Repubblica, 6 febbraio 2015
Bergoglio sul grande schermo. Luchetti: «Il mio Francesco è un uomo che ha sofferto». Incontro con il regista sul set del film che sta girando a Buenos Aires. Arriverà in sala a fine anno, poi ci sarà una versione televisiva
Una strada larga e assolata nel quartiere La Boca di Buenos Aires, palazzi fatiscenti e in rovina i cui muri coperti di graffiti hanno dovuto essere ridipinti per farli tornare all’aspetto degli anni 70, tre camionette militari a sbarrare la strada a un autobus coloratissimo su cui l’allora prete gesuita Jorge Bergoglio viaggiava con un gruppo di passeggeri terrorizzati dalla violenza della dittatura argentina. Un posto di blocco il cui tragico ricordo segna ancora i volti delle decine di comparse che attendono pazienti il ciak. Il regista Daniele Luchetti è a Buenos Aires, alla terza settimana di riprese del film Chiamatemi Francesco su papa Bergoglio che arriverà sugli schermi a fine anno. L’idea è del produttore Pietro Valsecchi, che colpito dal grande senso di umanità del nuovo Papa, ha deciso di raccontarlo in un film per il grande schermo – cui seguirà la versione televisiva di 4 ore – affidando a Daniele Luchetti la sceneggiatura – scritta con l’argentino Martin Solinas – e la regia. Il film è una produzione di 10 milioni di euro della Taodue con Mediaset e Eatmovie, sarà girato in Argentina, Germania e a Roma.
A interpretare il Papa saranno il popolare attore argentino Rodrigo de la Serna (da giovane fino ai 50 anni) e l’attore cileno Sergio Hernandez. Accanto a loro le attrici argentine Mercedes Moran e Muriel Santana negli importanti ruoli di due donne che furono grandi amiche di Jorge Bergoglio: Esther Ballestrino Careaga, una delle fondatrici delle Madri della Plaza de Mayo, e Alicia Oliveira, la prima giudice donna in Argentina. «Non sapevo molto della vita del Papa prima» svela Luchetti «Ma più andavo a fondo nella ricerca più scoprivo una traiettoria esistenziale tormentatissima che spiega perché quest’uomo, alla fine del suo apprendistato, abbia toccato un livello di comunicazione e comprensione così alto verso gli altri. Forse perché è una persona che ha sofferto molto, e il film ipotizza questi tormenti, queste svolte».Quali momenti della sua vita ripercorre il film?«Il viaggio verso Roma è il filo conduttore. Il racconto parte da quando era un maestro a Santa Fe, e invitò Borges a fare lezione di letteratura ai suoi studenti. La parte centrale, la più ampia, è quella del periodo della dittatura argentina, e la terza parte segue la sua esperienza con la povertà fino al Conclave. A 37 anni diventa Provinciale dei gesuiti in Sud America, una carica importantissima, in piena dittatura, che gli dava il potere di parlare con i politici. Subito dopo la fine della dittatura viene mandato in Germania a completare gli studi, una sorta di punizione da parte della Chiesa, e ci mette parecchi anni prima di scalare di nuovo le vette del potere ecclesiastico e diventare cardinale di Buenos Aires».Su quali fonti vi siete basati?«Abbiamo svolto un’enorme ricerca storica, basandoci molto sui suoi stessi scritti, ma anche parlando con amici – e nemici – di Bergoglio. Abbiamo ripercorso la trasformazione non solo sua ma di un intero paese che era stato senza democrazia per tanti anni. La chiesa è stata messa di fronte a molte domande, con il ritorno della democrazia si è dovuta occupare di grandi sacche di povertà. Il clero latinoamericano si è scagliato con veemenza contro la ricchezza, la speculazione, il denaro, contro i falsi miti del materialismo. È una chiesa molto più progressista, quella sudamericana, di quella che conosciamo in Europa».Che messaggio vuole trasmettere il suo film?«Un messaggio molto semplice, racconto la vita di un uomo che è un personaggio straordinario. E attraverso la sua vita mi occupo persone che hanno avuto destini straordinari. Questa storia passa attraverso la tragedia dei desaparecidos, delle persone che venivano catturate, torturate e gettate vive dagli aerei. Storie che Bergoglio ha raccontato, in processi, interviste, esprimendo dubbi, la paura di non aver fatto abbastanza ma anche la consapevolezza di aver fatto moltissimo. Ha salvato delle persone, le ha tenute nascoste, ha parlato con i dittatori dell’epoca, con i vertici della chiesa che erano collusi con il potere, e ha fatto quello che ha potuto. Questa non è solo la biografia di un uomo che diventerà Papa ma anche di una nazione passata attraverso una violenza sconcertante».Un Papa anche politico dunque?«Sì. La crescita di un uomo che arriva a fare il Papa passa certo attraverso tappe spirituali. Ma in un paese preda di violente battaglie politiche, come era l’Argentina, quest’uomo deve prendere posizione, e Bergoglio lo ha fatto. Fin dal primo momento quest’uomo mi ha trasmesso emozioni fortissime, da quando ha parlato dei gay, tema che tocchiamo brevemente nel film, e ho capito che c’era in lui qualcosa di diverso».