la Repubblica, 6 febbraio 2015
Philip Roth come non l’abbiamo mai visto, spietato e sincero. Esce la biografia del grande scrittore che mette a confronto vita e opera da Zuckerman alla Macchia Umana
Nella sua preziosa biografia letteraria dedicata a Philip Roth, pubblicata da Einaudi con il titolo Roth scatenato, Claudia Roth Pierpont – nessuna parentela con lo scrittore – cita un brano di Zuckerman scatenato, che offre una chiave di lettura per comprendere l’approccio letterario ed esistenziale del romanziere: «Credo che dovremmo leggere solo quei libri che ci mordono e ci pungono. Se il libro che stiamo leggendo non ci scuote con una botta in testa, cosa lo leggiamo a fare?». L’affermazione, affidata a Nathan Zuckerman, va messa a confronto con un’altra, nella quale l’alter ego dello scrittore si rivolge direttamente al suo autore: «La mia ipotesi è che tu abbia scritto così tante metamorfosi di te stesso da non sapere più né chi sei né chi sei mai stato. Ormai non sei altro che un testo ambulante».
Chi conosce Roth, sa quanto sia impossibile scinderne la visione del mondo da quella dei suoi personaggi, ai quali attribuisce intuizioni, umorismo, debolezze, paure e anche le meschinità. Persino la sua persona fisica si identifica con quella dei suoi personaggi, ed è merito di questo bel libro se la sua opera letteraria viene arricchita di una nuova dimensione: senza mai cadere nell’aneddoto, l’autrice la mette in parallelo con l’evoluzione infelice dei due matrimoni, le infinite relazioni sentimentali (c’è anche spazio per un paio di goffe serate con Jacqueline Kennedy) e la continua ricerca di serenità e appagamento, lungo un itinerario esistenziale segnato da una depressione opprimente, che lo ha portato sull’orlo del suicidio. È interessante mettere in parallelo il lavoro della Roth Pierpont, firma di prestigio del New Yorker, con quello dello studioso italiano Luciano De Fiore. Entrambi i saggisti analizzano il desiderio d’integrazione sociale ed il rapporto con l’ebraismo, vissuto dai personaggi di Roth mescolando l’orgoglio a un senso di inadeguatezza, se non addirittura di vergogna. Sin dall’apparire di Goodbye Columbus, Roth è stato tacciato di essere un ebreo che si autoflagella, e riflettendo sul fatto che i suoi eroi desiderano le “shikse” (le donne non ebree) Gershom Sholem arrivò a scrivere che la sua opera rappresentava tutto quello che sognavano gli antisemiti. Accusa che la Pierpont Roth smantella, come fa a proposito della misoginia: l’atteggiamento crudo, sferzante e a volte anche crudele nei confronti delle donne è lo stesso che l’autore ha nei riguardi degli uomini, e rispecchia uno sguardo che ignora la trascendenza e considera la decadenza della carne come simbolo di una fallacia alla quale è condannato ogni essere umano. Nei libri di Roth le illusioni risultano il contraltare del desiderio, destinate anch’esse a scontrarsi con l’incedere implacabile del tempo: in questo universo fallace, dove gran parte del piacere è generato dal sesso, non esiste la grazia, ma semplicemente la natura. Non mancano tuttavia momenti di calore, e la Pierpont Roth racconta con passione la controversa, ma autentica amicizia con Saul Bellow, e l’impegno con cui Roth si è prodigato per aiutare gli intellettuali cecoslovacchi oppressi dal regime comunista. Non meno pregevole è il modo in cui sono analizzate le influenze letterarie (oltre a Bellow viene citato Céline) e il coraggio con cui il romanziere ha attaccato ogni forma di correttezza politica, ritenuta contraria all’intelligenza, prima ancora che alla libertà. Esemplare La Macchia Umana, folgorante metafora della mediocrità di un mondo che preferisce l’ipocrisia più ottusa alla verità. Nessun autore contemporaneo come Roth ha raccontato il degrado della carne e la caducità dei nostri desideri. Everyman inizia con il funerale di un protagonista senza nome e racconta quindi un itinerario esistenziale segnato da un destino ineluttabile di disillusione e disfacimento.All’interno di questo universo plumbeo, composto da 31 libri scritti in 53 anni, Roth riesce tuttavia a trovare momenti di riscatto grazie all’ironia, e, sorprendentemente, anche ad una tenue, ma inestinguibile forma di pietas, che lo scrittore invoca innanzitutto nei confronti di se stesso. Quando la Roth Pierpont gli dice di essere onorata di leggere i suoi manoscritti, lui le risponde: «Non lo sia, o non mi servirà in alcun modo».