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 2015  febbraio 06 Venerdì calendario

India, domani si vota per rinnovare l’Assemblea di New Delhi, dove pulsa il cuore della nazione. Autisti, fattorini e intellettuali tifano per “Keji”, l’uomo qualunque che armato di scopa promette una società più giusta e soprattutto onesta

Ben pochi tranne Arvind Kejriwal, l’indomito eroe dell’”uomo qualunque” che campeggia sui manifesti con una scopa in mano e un cappelletto da muratore, potevano predire ciò che la storia aveva in serbo per l’India.
Siamo all’immediata vigilia del voto di domani per rinnovare l’Assemblea dello Stato di Delhi, un piccolo regno autonomo nella grande federazione del Continente, dove però pulsa il cuore politico della nazione da un miliardo e 200 milioni di anime. Attorno al Palazzo del Governo su Central Secretariat, dove siede l’uomo forte del momento, il premier Narendra Modi, sfilano le auto nere di ministri, sottosegretari e leader del partito di maggioranza Bjp votato alla bulgara appena otto mesi fa e oggi messo in serissima crisi dalla candidatura di Kejriwal proprio dove esercita il suo massimo potere.I Vip superano a sirene spiegate file di vetture bloccate già da innumerevoli comizi e cortei elettorali che fanno impazzire il traffico più di quanto già lo sia, tra passanti e motociclisti intossicati dai metalli nell’aria di una metropoli da 20 milioni di persone e un fiume di automezzi dagli scappamenti fumanti. A ogni angolo carovane motorizzate con le bandiere dell’India e i simboli dei partiti principali sfilano col ritmo martellante della musica hindi pop a tutto volume e gli slogan dei militanti. Indossano soprattutto i cappelli arancioni del Bjp e bianchi dell’Aam Admi Party fondato da Kejriwal, mentre il Congresso sembra, ancora una volta, travolto dagli eventi che lo hanno ridotto a un ruolo di risicata minoranza.Molti dei vecchi conoscenti di Delhi – autisti, fattorini, guidatori di risciò, guardie di sicurezza alle case dei ricchi, intellettuali che votavano il partito dei Gandhi tappandosi il naso – ci hanno confessato che sostenere Kejriwal come capo ministro dello Stato di Delhi è l’unica maniera di dimostrare a Modi «che i muscoli non bastano a conquistare il cuore della gente», come dice la scrittrice e giornalista di Outlook Saba Naqv.Nel cuore dei sostenitori più entusiasti raccolti attorno ai social network e nelle favelas dei suburbi urbani dove un anno fa Kejriwal autoridusse le bollette elettriche e fornì acqua gratuita appena salito al potere dello Stato (salvo dimettersi 49 giorni dopo), c’è l’idea che la ramazza purificatrice salverà i poveri e gli oppressi della metropoli da un governo nazionale che fin dalle prime mosse ha fatto capire di stare dalla parte dei ricchi e dei potenti. Non solo. I musulmani da sempre ostili all’ortodosso Bjp potrebbero votare in massa per lui, così i cristiani e cattolici che hanno visto diverse chiese bruciare per mano dei fondamentalisti hindu, e le minoranze immigrate dal Nord povero e del Nord Est, maltrattate e vessate perfino per strada.È forse la prima guerra di classe di una “sinistra indigena”, come la descrive l’analista Satya Sivaraman, guidata da un uomo che si è definito apertamente “anarchico”, diversa da quella dei partiti marxisti tradizionali che ancora affiggono nelle loro sedi le foto di “stranieri” come Lenin, Marx e Mao, e ha per immagine il volto da uomo comune di “Keji”, il candidato premier di Delhi che vive in un appartamento in affitto, dorme per strada coi suoi fedelissimi e militanti per chiedere la firma delle leggi anticorruzione, o semplicemente le dimissioni di qualche poliziotto “beccato” a chiedere mazzette o abusare dei cittadini.Uno studente che per mantenersi all’università lavora in un call centre, danza per le strade del quartiere di Janakpuri a ritmo di una canzone di Bollywood riadattata che dice A saal Kejriwal, pressappoco «È l’anno di Kejriwal». Tutt’attorno alla scena dove si esibisce il loro “flash mob per la democrazia”, si alternano slum, grattacieli spettrali in attesa di inquilini e palazzine dei più benestanti, la base elettorale dell’aristocratico Bjp della classe medio alta e della borghesia imprenditoriale, principali beneficiarie delle politiche economiche avviate con il governo di Modi. Nessuno ne parla apertamente, ma l’idea che traspare dalla foga rivoluzionaria dei militanti è quella di una vera e propria guerra di classe, per un progetto di società quantomeno più giusta, dove chi svolge i lavori più umili possa avere dignità e una casa con l’acqua («possibilmente calda» ci dice un venditore di foglie del betel che voterà Kejriwal) senza pagare le bollette esose pretese dalle società concessionarie grazie al sostegno del governo locale e nazionale.Altro che la rivoluzione tecnocratica e liberista affidata a un condottiero pur di grande cipiglio e carisma come Modi, che si serve di grandi compagnie e poche famiglie per rilanciare l’India già devastata dal malgoverno del progressista Congresso dei Gandhi attraverso la stessa politica ultra capitalista. L’immagine solitaria ed elegante del neo premier con la barba ben curata sui pannelli delle carrozze della metropolitana, con lo sfondo arancione e il simbolo del loto del Bjp, fa da contrasto a quella di Kejriwal che si mischia tra la folla e abbraccia l’uomo qualunque, lo arringa con una sciarpa di lana in testa come quella dei portatori di risciò, promette cose concrete, servizi efficienti, e soprattutto onestà.Poco importano ora le polemiche sui presunti “finanziamenti illeciti” ricevuti dall’Aam Admi, e sulla scelta suicida di Kejriwal di dimettersi meno di due mesi dopo essere stato eletto proprio a Delhi senza aver portato avanti il suo programma. Di certo il voto non fermerà l’”onda Modi” che ha dato al premier la maggioranza assoluta da Nord a Sud. Ma potrebbe costituire una prima diga e cominciare a riscrivere la storia della democrazia bipolare nel grande continente.