la Repubblica, 6 febbraio 2015
Così la Grecia è arrivata sull’orlo del baratro. Nel 2009 l’economia ellenica aveva accumulato uno squilibrio di dimensioni colossali con il resto del mondo. Il Paese – famiglie, imprese e Stato insieme – consumava 113 euro per ogni 100 euro che guadagnava. Una spaventosa e inarrestabile accumulazione di debito
Seduto accanto al collega tedesco Wolfgang Schäuble, ieri Yanis Varoufakis non ha nascosto le ambizioni del suo governo. La Grecia non vuole cambiare solo il suo posto in Europa, ha detto il ministro dell’Economia, ma l’Europa stessa. La sua idea è che se il nuovo premier Alexis Tsipras riuscisse a ottenere minori sacrifici e meno debito grazie a un condono da parte dei creditori, non sarebbe solo la Grecia a uscire dal tunnel. L’intera eurozona avrebbe benefici. Atene farebbe girare il vento e la Germania non sarebbe più la forza egemone.
Molti in Italia condividono l’ambizione di Varoufakis. Nei viaggi suoi e di Tsipras fra Berlino, Bruxelles e Francoforte vedono missioni destinate forse ad aprire un varco per tutti. Il presupposto è che l’economia greca ha vissuto il crollo più profondo perché è stata la più duramente soggetta all’austerità imposta dai governi creditori, Germania in testa. Se dunque ora Atene rompesse l’assedio, non diverrebbe più facile farlo anche per gli altri? È presto per sapere se davvero finirà così, non lo è però per pesare i fattori che rendono in realtà la Grecia più vittima di se stessa che di Berlino: un caso unico in Europa, non emblematico, e molto più complesso di quanto forse Varoufakis stesso abbia spiegato ieri a Wolfgang Schäuble.
PRIMA DELLA CRISI
Chuck Prince, il leader di Citigroup, dichiarò nel 2007 che la sua banca doveva ballare fin quando la musica fosse continuata. Parlava dei ritmi del super-ciclo del debito in Occidente. E la Grecia al suono di quella musica ha ballato più sfrenatamente di qualunque altro Paese al mondo. Nel 2009 questa piccola economia dei Balcani meridionali aveva accumulato uno squilibrio di dimensioni colossali con il resto del mondo. Secondo Eurostat, quell’anno la Grecia era in rosso per 26 miliardi negli scambi con l’estero di beni, servizi e partite finanziarie: significa che il Paese – famiglie, imprese e Stato insieme – consumava 113 euro per ogni 100 euro di reddito. Anno dopo anno, per un decennio, fa una spaventosa accumulazione di debito pubblico e privato. Quando una musica del genere si blocca e l’accesso a nuovi prestiti diventa impossibile, inevitabilmente scatta in tutti la corsa al risparmio forzato e i postumi del party sono sempre dolorosi.
UN MILIONE DI ELETTORI «AL SICURO»
I greci non lo avrebbero mai detto, guardando ai libri regolarmente falsificati della finanza pubblica. Il Paese era entrato nell’euro nel 2001 ma non aveva mai davvero rispettato il requisito di un deficit pubblico entro il 3% del Pil. Nel 2009 aveva dichiarato un disavanzo al 6%, eppure le successive revisioni lo hanno fissato al 15,2% del Pil. Com’è stato possibile? Per chi lavorava nell’istituto statistico di Atene, era considerato anti-patriottico pubblicare dati veritieri. Per decenni il Paese aveva conosciuto una lunga fuga dalla realtà fondata su uno scambio: gli elettori ricevevano posti di lavoro pubblici e i politici ricevevano i voti loro e dei loro familiari. Il resto non contava. Secondo gli economisti Zafiris Tzannatos e Iannis Monogios, dal 2000 al 2009 la spesa per gli statali è salita del 6,5% l’anno, quasi raddoppiando in un decennio, mentre l’evasione erodeva le entrate del 5% l’anno. Gli aumenti degli statali correvano cinque volte più di quelli del settore privato. Alla fine dello scorso decennio oltre un milione di persone, quasi un occupato ogni quattro, era ormai un dipendente pubblico: una densità doppia rispetto all’Italia. Almeno un addetto su tre era di troppo, almeno un dipartimento su cinque contava solo il dirigente e nessun impiegato. E il colossale deficit nascosto non fu l’unica conseguenza: la spesa per istruzione in proporzione al Pil è stata (e resta) compressa ai livelli più bassi d’Europa e all’interno di quella voce gli stipendi assorbono la quota più alta d’Europa, quasi tutto: nessun investimento nel futuro dei giovani e nella qualità della formazione. Anche per questo la disoccupazione è dilagata quando il Paese ha dovuto correggere gli squilibri, cancellando centinaia di migliaia di posti fittizi nell’amministrazione. Solo gli oligarchi e i grandi evasori sono stati tutelati. Il contratto sociale è andato in pezzi.
«MADE IN GREECE» INESISTENTE
Nel frattempo, il settore privato è rimasto il più arretrato d’Europa. L’istituto Ifw di Kiel stima su dati Eurostat che operino oggi nel manifatturiero in Grecia appena 311 mila addetti: meno che in pesca e agricoltura, settori di solito piccolissimi in un Paese avanzato. Le principali voci di export industriale ellenico sono a bassa intensità di valore e di ricerca: prodotti raffinati del petrolio, frutta e verdura, metalli non ferrosi. È uno dei grandi fallimenti delle politiche imposte dalla Troika: non ha mai cercato di aiutare i greci a costruire da quasi zero competenze e un tessuto produttivo adeguati. Così un’economia priva di competenze, basata sul debito, su rendite di posizione parassitarie e sull’impiego fittizio si è afflosciata senza reagire, a differenza di come avvenuto in Spagna, Portogallo o Irlanda.
IL DEBITO TAGLIATO TRE VOLTE
Dove invece i governi europei hanno aiutato la Grecia, è proprio sul debito pubblico: è stato tagliato due volte nel 2011, poi nel 2012 le scadenze dei pagamenti agli Stati dell’Unione sono state rinviate di decenni, con gli ultimi saldi previsti nel 2057. I governi europei hanno messo a disposizione 194 miliardi, il Fondo monetario altri 31,8 e la Banca centrale europea è ancora esposta per 25. È il più grande pacchetto di prestiti della storia, finanziato anche da Paesi molto più poveri della Grecia come i Baltici o la Slovacchia. Le condizioni sono ormai così favorevoli che, calcola il centro studi Bruegel, Atene paga in interessi appena il 2,6% del Pil: quasi la metà dell’Italia, vicino ai livelli di Francia e Germania.Se ora davvero la Grecia vuole aiutare l’Europa, può farlo smettendo di presentarsi come una vittima di qualcun altro. E cercando, finalmente, di aiutare se stessa.