La Stampa, 5 febbraio 2015
Nella maxinchiesta sulla presenza della ’ndrangheta in Emilia è finito anche l’ex attaccante della Nazionale Vincenzo Iaquinta: perquisita la sua casa dopo che le forze dell’ordine avevano trovato due sue pistole nella cassaforte dell’abitazione del padre
La maxinchiesta sulla presenza della ‘ndrangheta in Emilia, che ha già portato all’arresto di 117 persone, lambisce anche Vincenzo Iaquinta: ieri la casa di Quattro Castella dell’ex attaccante della Juventus e della Nazionale (con cui ha vinto il Mondiale tedesco del 2006) è stata perquisita dai carabinieri.
Si era anche diffusa la voce che l’ex giocatore fosse stato iscritto nel registro degli indagati dopo che le forze dell’ordine hanno trovato due sue pistole nella cassaforte dell’abitazione del padre, Giuseppe Iaquinta, arrestato la settimana scorsa. Le pistole, una calibro 38 e una 7,65, erano sì regolarmente denunciate da Vincenzo, ma il padre non poteva tenerle in casa: la prefettura di Reggio infatti aveva stabilito il divieto di porto d’armi in seguito alla cena di tre anni fa con Giuseppe Pagliani di Forza Italia (anche lui in carcere) e altri personaggi ritenuti vicini alle cosche, cena che avrebbe sancito il patto fra il politico e la ‘ndrangheta.
L’ipotesi di detenzione abusiva di armi in concorso a carico dell’ex calciatore, però, è stata smentita in serata dagli inquirenti.
Il nome di Vincenzo Iaquinta comunque ricorre in alcuni passaggi dell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari di Bologna: l’ex calciatore avrebbe partecipato a una cena il 5 luglio del 2011, nel ristorante di Pasquale Brescia, uno degli indagati, quando «sono stati trattati argomenti di rilievo per lo sviluppo economico della cellula», come si legge nel provvedimento. Il padre poi è intervenuto «a numerose riunioni con altri sodali e con appartenenti alle forze di polizia, spesso avvicinati col pretesto di omaggiarli di alcuni gadget riferibili al figlio Vincenzo, all’epoca dei fatti tesserato con una nota squadra di calcio piemontese».
Intanto l’inchiesta procede: in un’intercettazione, l’indagato Vincenzo Mancuso minaccia possibili concorrenti parlando in dialetto con uno degli arrestati: «Poi scendono ‘sti quattro napoletani. Gli ho detto: qua cinque ne siete venuti, qua se ne vanno morte 50 persone».