il Fatto Quotidiano, 5 febbraio 2015
Ncd, più che un partito un poltronificio. Il caso più clamoroso è quello di Angelino Alfano, incredibilmente ministro degli Interni per sei degli ultimi otto anni
Martedì scorso a Montecitorio, in Transatlantico, Fabrizio Cicchitto avanzava lentamente a capo chino, tra le mani un libro aperto. Su una poltrona, il forzista Maurizio Bianconi, irresistibile toscanaccio anti-Nazareno, gli ha gridato: “O Cicchitto mi sembri don Abbondio con il breviario”. Cicchitto ha alzato la testa, sorriso e risposto prontamente: “Così adesso Renzi mi manda i bravi”.
Ora è probabile che al premier sia sufficiente fare “bu!” per spaventare il partitino di Angelino Alfano, e non mandare i bravi per risparmiare tempo ed energie, ma la metafora di don Abbondio calza alla perfezione allo sfortunato acronimo biancoblu di Ncd. Se uno il coraggio non ce l’ha non se lo può dare. Tranne forse proprio Cicchitto. L’ex socialista poi berlusconiano viene pronosticato vicinissimo allo strappo definitivo. Così come ha già fatto Barbara Saltamartini, deputata e portavoce ufficiale, destinata ad approdare alla Lega di Matteo Salvini. La Saltamartini è un’ex an, corrente di Alemanno, e potrebbe tirarsi dietro, dicono, altri due postmissini, Andrea Augello e Vincenzo Piso. L’addio più clamoroso potrebbe però essere quello di Nunzia De Girolamo, ex ministra, in grande riavvicinamento al cerchio magico dell’ex Cavaliere. Manovre, ambizioni, riposizionamenti, tattiche e strategie. In una sola parola: poltrone. Ncd è un cespuglio ministeriale nato da una scissione parlamentare. Al battesimo elettorale, alle Europee, ha scavallato di poco il temuto quorum del 4 per cento. E per il futuro le previsioni sono cupe. In caso di lista unica con Forza Italia ci sarebbero solo cinquanta, massimo sessanta seggi bloccati. A fronte di più di duecento parlamentari uscenti tra azzurri e alfaniani. Una mattanza annunciata.
Di qui la speranza di arrivare al 2018, a fine legislatura. Di qui la disperata necessità di rimanere imbullonati alle poltrone di governo, sempre che Renzi non decida di provocare e cacciare via gli alfaniani. Ne sa qualcosa, in questa microbattaglia della vita, l’ex presidente del Senato Renato Schifani. Schierato eroicamente con l’amico “Angelino”, Schifani punta nientemeno che alla carica di capogruppo di Area popolare al Senato, dalla quale si è dimesso l’ex socialista Maurizio Sacconi in polemica con il dilettantismo politico di Alfano, rimasto in mezzo al pantano nell’elezione di Mattarella. Ma che cos’è Ap? Fantastico lo sberleffo renziano l’altra sera da Bruno Vespa: “Il 99 per cento degli italiani non sa che cosa è Area popolare”. Non solo. Il premier ha infierito sugli alfaniani correggendo Alessandro Sallusti, direttore del Giornale, che si ostinava a dire “Ndc”. Renzi: “Sallusti si dice Ncd non Ndc”.
Il partito alfaniano è un lapsus comico a getto continuo. In un’altra trasmissione, ieri mattina, la deputata Dorina Bianchi, biondo-fucsia tra capigliatura e cardigan, ha sentenziato: “Il Paese ha capito le nostre ragioni”. Quale Paese? L’Italia? Il Nuovo centrodestra è un trambusto incessante che minaccia la verifica di governo. Sentite l’incastro che si profetizza tra le mura alfaniane: “Se Lupi si dimette dal ministero e il premier fa fuori la Giannini di Scelta Civica, allora Gaetano va all’Istruzione”. “Gaetano” fa di cognome Quagliariello ed è un ex saggio del Quirinale. È l’avversario maggiore della linea cerchiobottista di Alfano, cioè un po’ con Renzi per le poltrone odierne, un po’ con Berlusconi per quelle del futuro in Parlamento. “Gaetano”, e con lui la ministra Beatrice Lorenzin, fino a qualche tempo fa puntava sul diritto di tribuna (una manciata di seggi) presso la tribù renziana. Oggi è più incazzato e propugna la linea opposta: alternativi a Renzi e opposizione unitaria con l’ex Cavaliere. Un incarico di governo, però, potrebbe azzerare la rabbia.
Maurizio Lupi è invece ciellino. Nell’esecutivo è titolare di Infrastrutture e Trasporti. Un ministero dove girano tanti appalti e tanti soldi. Lascerà mai per andare al partito e fare il coordinatore di un cespuglio? Sempre che non sia vera la voce della sua ambizione a fare il sindaco di Milano. Ma la domanda delle domande riguarda il mancato leader Alfano, quarantenne siciliano miracolato dal berlusconismo. In sei degli ultimi otto anni, il furbo “Angelino” è sempre stato ministro. Tanti onori, tante corsie privilegiate, tanti inviti. Il potere che fa casta, simboleggiato da sei anni di scorta 24 ore su 24. Ergo: Alfano rinuncerà mai, in nome dell’orgoglio e della dignità di partito, a una poltrona ministeriale? Ecco perché a Renzi basta fare “bu!” con i notabili democristiani di Ncd, senza dover ricorrere alla falange dei suoi bravi toscani. Ammesso che non li cacci per far posto al gruppone “responsabile” di Verdini.