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 2015  febbraio 05 Giovedì calendario

Petrolio, prezzi di nuovo in picchiata. Un nuovo aumento delle scorte Usa (già da record) riaccende i riflettori sul surplus

Lo slancio del petrolio si è già esaurito. Dopo quattro sedute di rally – che avevano portato il Brent addirittura in “bull market” – ieri le quotazioni sono tornate a scendere, in modo così pesante da cancellare una buona parte del recupero dei giorni scorsi.
Il Wti in particolare è tornato sotto la soglia psicologica dei 50 dollari al barile, chiudendo in ribasso dell’8,7 % (a 48,45 $). Il greggio europeo ha tenuto un po’ meglio, fermandosi a fine seduta a 54,16 $ (-6,5%). Del resto a interrompere la risalita del petrolio sono stati dati americani: quelli sulle scorte petrolifere, diffusi dall’Energy Information Adiministration (Eia), che hanno riacceso i riflettori sull’enorme eccesso di offerta che grava sul mercato (e che indubbiamente impiegherà tempo a smaltirsi).
Negli Usa gli stock commerciali di greggio – già ai massimi dal 1931 – sono saliti ancora la settimana scorsa, addirittura oltre le aspettative (+6,3 milioni di barili), portando il totale a 413,06 mb. A Cushing, il punto di consegna del Wti in Oklahoma, sono arrivate a 41,4 mb (+2,5 mb), record da oltre un anno. Inoltre ci sono stati forti accumuli anche di benzine (+2,3 mb) e distillati (+1,8 mb). Lo sciopero indetto dalla United Steelworkers, che interessa nove raffinerie, è cominciato solo domenica e le statistiche non ne riflettono ancora l’impatto. Ma anche i prodotti raffinati non scarseggiano di certo negli Usa:?sulla East Coast non ci sono mai state tante scorte di benzina dal 1999 (e nella zona, per inciso, c’è anche il New York Harbor, punto di consegna del future di questo carburante).
A scatenare il rimbalzo delle quotazioni del barile era stata una serie di forti segnali di reazione ai ribassi da parte delle compagnie petrolifere: in breve tempo il numero delle trivelle in attività negli Usa è crollato e i piani di investimento hanno subìto tagli per oltre 40 miliardi di dollari. Parecchi fondi di investimento, temendo di essersi esposti troppo con le scommesse al ribasso, hanno avviato operazioni di ricopertura, generando un volume di acquisti che si è via via ingrossato, con un effetto valanga. Si tratta di uno schema abbastanza tipico nei periodi in cui il mercato cerca di assestarsi dopo fasi estreme (di bolla o viceversa di crollo). Ed era successo anche nel 2008: la rovinosa discesa del petrolio, che tra luglio e dicembre lo portò dal record di 147 $ ad appena 36 $, a settembre venne interrotta da un breve rally. In sei sedute ci fu un recupero di quasi il 20%, ma poi il tracollo riprese per altri tre mesi. La vera inversione di tendenza arrivò solo dopo un forte taglio di produzione dell’Opec e una ripresa tangibile della domanda.
Oggi il quadro dei fondamentali non ha ancora mostrato alcun cambiamento: l’Opec resta ferma nel proposito di non intervenire, negli Usa si continua ad estrarre una quantità record di greggio (la produzione è stabile a 9,2 mbg) e le scorte, in tutto il mondo, si accumulano a vista d’occhio.
Una risalita del prezzo del barile sarebbe prematura e addirittura controproducente, secondo alcuni analisti, perché?rischia di interrompere la tendenza a frenare le estrazioni. Anche solo pochi giorni di rialzo potrebbero aver spinto qualche produttore a costruire nuove operazioni di hedging, allungando il periodo di protezione dai prezzi bassi (e quindi rinviando la necessità di reagire).