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 2015  febbraio 05 Giovedì calendario

Una nuova puntata del giallo Majorana: lo scienziato era ancora vivo negli anni Cinquanta ed era fuggito in Venezuela. Le autorità sudamericane non inviano i documenti e Roma archivia l’inchiesta

Scomparso dalla vita italiana e dagli studi di fisica quantistica nelle aule di Enrico Fermi. Ma riapparso, almeno tra il ’55 e il ’59, in Venezuela, dove sarebbe vissuto forse persino con una compagna e in difficoltà economiche, oltre a contare su solidi rapporti con la comunità italiana. È la seconda vita di Ettore Majorana, quella che il procuratore aggiunto di Roma Pierfilippo Laviani ha rintracciato con molti indizi (anche se nessuna conferma ufficiale dalle autorità venezuelane) riassunti nel decreto di archiviazione che ieri ha chiuso la vicenda. Una ricostruzione che compie un deciso balzo in avanti rispetto a tutte le ricerche e ipotesi fatte dal ’38 ad oggi, oscillanti tra l’omicidio, il suicidio o la scelta di ritirarsi in un convento.
Il decreto che chiude l’inchiesta sui presunti risvolti penali della vicenda, mette in fila gli elementi raccolti in ben sette anni di inchiesta, dal 2008 in avanti.
Per seguirne il filo, bisogna però raccontare la vicenda dal principio e quindi almeno dalla prima nave su cui Majorana si imbarca il 25 marzo del 1938 alla volta di Palermo, lasciando l’albergo”Bologna” a Napoli non prima di aver ritirato tutti i risparmi. Nel partire lascia una lettera in cui scrive una lettera ad un collega in cui sembra parlare di suicidio. Il giorno dopo, però, invia sempre al professor Carrelli un telegramma in cui annuncia: «Non allarmarti, segue lettera». Il testo successivo spiega: «Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani. Ho però intenzione di rinunziare all’insegnamento». Da quella missiva, del geniale fisico che aveva impressionato Fermi convincendolo a fargli ottenere una cattedra, non si ha più notizia.
Il silenzio dura fino a quando alcuni anni fa, prima alla trasmissione Chi l’ha visto? e quindi in procura si presenta un testimone, Francesco Fasani, che racconta di aver conosciuto Majorana attorno al ’55, in Venezuela. A spiegare a Fasani che il suo schivo amico”signor Carlo Bini” è in realtà Ettore Majorana è un tale”signor Carlo”, maggiorente della comunità italiana e fuggito in Venezuela dall’Argentina, assieme ad un gruppo di italiani di cui potrebbe aver fatto parte anche il fisico.
LA CARTOLINA
Fasani porta in procura due elementi e, tra questi, uno in particolare è tanto singolare da apparire decisivo. Nel corso dell’amicizia con Bini, il giovane Checchino si sarebbe offerto di rimettere in ordine la macchina dello scienziato, una bella Studebaker giallo canarino. All’interno, tra i fogli sparsi, trova una cartolina con bollo postale piuttosto antico e decide di tenerla per ricordo. Peccato, o forse per fortuna, che quella cartolina datata 1920 sia firmata dallo zio di Ettore, Quirino Majorana: «Appare indubitabile – scrive il pm Laviani – che il reperimento di siffatta missiva all’interno dell’autovettura del Bini, confermi la vera identità di costui come Ettore Majorana, stante il rapporto di parentela con Quirino (zio ex patre), la medesima attività di docenti di fisica e il frequente rapporto epistolare già intrattenuto tra gli stessi, avente spesso contenuto scientifico». Lavorando sulla foto che ritrae nel ’55 Bini-Majorana con Fasani, poi, e confrontandola con le immagini del padre a cinquant’anni, la procura ha ottenuto un’altra conferma: «I risultati ottenuti hanno portato alla perfetta sovrapponibilità delle immagini di Fabio Majorana e di Bini Majorana».
IL SILENZIO
Ad un passo dalla possibile verità, l’inchiesta della procura ha dovuto fermarsi, per «l’inerzia degli organi diplomatici venezuelani» in merito alla richiesta di notizie «circa il possesso di una patente di guida o di titoli di proprietà di un’auto», chiosa il procuratore Laviani. Dove non ha potuto l’inchiesta penale, forse una risposta potrebbe arrivare da chi, in Venezuela come in Italia, ancora si interroga sul mistero della scomparsa di Majorana.