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 2015  febbraio 05 Giovedì calendario

La guerra europea per la bresaola «made in Italy». Braccio di ferro sull’etichetta con l’origine della carne:«Difende i consumatori». Ma le lobby alimentari frenano

Le domande sono più che legittime. Ci si chiede se sia giusto dire ai consumatori che i prosciutti prodotti in Italia sono di gran lunga più numerosi del doppio dei maiali allevati dalle nostre parti. E se sia opportuno far sapere attraverso l’etichetta che la quasi totalità della bresaola Igp valtellinese ha origini da zebù brasiliani che le Alpi non le hanno viste neanche in cartolina. Interrogativi elementari, certo, e pure ragionevoli, salvo che sulle risposte all’Europarlamento è in corso un duello all’arma bianca. L’industria e i centristi del Grande Nord sostengono che non c’è bisogno di cambiare le regole, perché graverebbero su chi vende e chi compra. I popolari mediterranei, con socialisti e liberali, giurano il contrario: «Chi fa la spesa deve sapere».
La discussione
Si discute da settimane e siamo solo all’inizio. Gli eurodeputati devono decidere se chiedere alla Commissione Ue di mettere in cantiere un’iniziativa legislativa sull’etichettatura delle carni trasformate, in modo da rendere esplicita l’origine della materia prima, come avviene già coi prodotti freschi, polli, manzi e affini. Non è un meccanismo antifrode, sia chiaro. Esistono norme precise che rendono l’utilizzo di bovini sudamericani sicuro, dunque la salute pubblica non è a rischio. «È un sistema che consentirebbe di fare acquisti in modo più consapevole e trasparente», argomenta Giovanni La Via (Ncd), presidente della commissione Ambiente che si è già pronunciata in favore a metà gennaio
I gruppi divisi
Il gruppo popolare è spaccato. Italiani, francesi, austriaci, romeni vogliono l’etichetta. Gli altri, soprattutto i tedeschi, no. Elisabetta Gardini, capogruppo della squadra di Forza Italia, ritiene si debba procedere verso la trasparenza, «predisporre il testo e poi indicare una soluzione che tenga conto di ogni esigenza». Il collega di schieramento Massimiliano Salini la pensa diversamente, vorrebbe che non si cominciasse nemmeno. «Nessuna pregiudiziale in campo socialista», assicura Paolo De Castro (Pd), che precisa: «Quando saremo nel concreto, sarà diverso: ad esempio, bisognerà limitare l’intervento ai monoingredienti». Dunque, prosciutti si, lasagne no, salami forse.
Due numeri spiegano perché siamo arrivati sino a qui. Un sondaggio della Commissione Ue rivela che oltre il 90% dei consumatori vorrebbe conoscere l’indicazione di origine della carne sull’etichetta dei prodotti trasformati. Mentre uno studio afferma che il 30-50% delle carni macellate finisce come ingrediente di altri prodotti alimentari. Per questo l’esecutivo Ue immagina tre scenari: legislazione invariata, con origine dichiarata su base facoltativa; obbligo di indicare se l’origine della bestia è europea o meno; e/o di specificare la provenienza.
Le lobby in campo
La lobby alimentare, anche italiana, è furibonda. «Mi hanno chiamato quelli della bresaola dicendo che se passa sono morto», sospira un eurodeputato italiano, che ovviamente riporta una metafora e non rischia la vita. Fonti industriali riferiscono che «l’obbligo di etichettatura avrebbe effetto sui costi, soprattutto dei piccoli produttori, che consumatori non sono disposti a sostenere». Le imprese puntano sull’autoregolamentazione, tanto che è in arrivo una piattaforma online – «Salumi trasparenti» – che permetterà di verificare il contenuto di centinaia di delizie suine. Basterà? L’Europarlamento vota l’ordine del giorno la prossima settimana. La sua risposta sarà probabilmente «no». Comunque vada, resta il discorso sul senso del «made in». È italiano il prodotto fatto all’italiana e in Italia, o quello al cento per cento nostrano? Le imprese propendono per il primo caso. Confronto interessante per il futuro, col volontarismo che avrà senso e seguito solo se tutti saranno trasparenti e faranno bene il loro mestiere.