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 2015  febbraio 05 Giovedì calendario

Come reazione al pilota bruciato vivo da quelli dell’Isis, la Giordania ha impiccato due jihadisti. Bombardata la roccaforte del Califatto in Iraq. Re Abdallah deve affrontare le critiche per la gestione della crisi dell’ostaggio. E gli islamisti radicali crescono nel Paese

Sono accese e resteranno accese tutta la notte le luci del grande ministero della Difesa alle porte di Amman. Re Abdallah II rientrato in gran fretta dagli Usa presiede un vertice dopo l’altro con i suoi fedeli generali, i ministri più vicini, e promette «una guerra implacabile» al Califfato islamico. Il regno hashemita è sotto shock, ha subito un contraccolpo che ha lacerato gli animi, acceso la rabbia della piazza e la voglia di vendetta per l’esecuzione di Moaz al Kaseasbeh, il giovane pilota catturato dall’Is la vigilia di Natale e bruciato vivo in un horror-movie destinato proprio a impressionare il popolo di Amman. Non si è fatta attendere la prima risposta del governo giordano. All’alba, è stata giustiziata la kamikaze mancata, Sajida al Rishawi, la terrorista irachena di cui l’Is chiedeva la liberazione in cambio degli ostaggi, nel carcere di massima sicurezza di Swaqa, 70 chilometri a Sud della capitale dove di solito avvengono le esecuzioni. È stato impiccato anche un altro jihadista filo-qaedista, Ziad al Karbouli. Altre tre esecuzioni di terroristi islamici sono attese nelle prossime ore. E ieri sera l’aviazione giordana ha bombardato postazioni dell’Is a Mosul, la roccaforte irachena del Califfato.
La Giordania reagisce e prova ad affrontare uno dei suoi momenti più difficili. Il piccolo, e debole regno, è scosso dalle tempeste che sconvolgono la mappa del Medio Oriente. Da retrovia americano per la guerra in Iraq, la Giordania è ora in “prima linea” nella guerra contro il Califfato, e ne è profondamente segnata: quasi un milione di profughi siriani, altrettanti iracheni, i rifugiati palestinesi degli anni ‘70; e poi le Forze speciali Usa, gli addestratori americani, i contractor, le compagnie di sicurezza. Re Abdallah vede il suo regno scivolare verso la guerra contro Al Baghdadi. Dall’altro lato, l’Is vuole espandere la sua portata regionale e la Giordania è l’unica apertura disponibile.
Al rientro nel Paese a lutto, Abdallah è stato accolto all’aeroporto di Amman da migliaia di manifestanti con bandiere nazionali, foto del pilota e ritratti del monarca, a sottolineare l’unità del Paese di fronte alla minaccia jihadista. «La nostra risposta sarà decisa e farà tremare la terra», fanno subito trapelare dal vertice con il sovrano. Ieri la famiglia di Kaseasbeh – membro di una influente tribù – ha ricevuto le condoglianze nel villaggio natale di Ay, nella regione di Karak. In una tenda tradizionale ornata con la foto ritratto del giovane pilota 28enne, l’incontro è stato anche una dimostrazione di sostegno per re Abdallah, che ha affrontato non poche critiche sulla crisi degli ostaggi. Centinaia di giordani si sono riuniti dal mattino a porgere le condoglianze. Tra questi ex funzionari della Corte Reale, ministri e leader di tribù che formano il più importante pilastro del regno hashemita, e forniscono le forze armate e di sicurezza con giovani reclute affidabili.
Le autorità cercano di dare la percezione di un Paese unito. Ma il ruolo nella guerra contro l’Is ha finora goduto di poco sostegno interno. I giordani sono preoccupati per l’instabilità alle frontiere, temono il “contagio”, il ritorno del terrorismo interno. I più critici si chiedono se la campagna guidata dagli Stati Uniti sia davvero la loro lotta, poco convinti dall’argomento di re Abdallah che Stato islamico sia una minaccia per la Giordania e per l’Islam.
Il “fronte interno” giordano, infatti, non è meno pericoloso, e il terrorismo – jihadista prima e salafita poi – ha lasciato dagli Anni Novanta una lunga scia di sangue. «Più di due milioni di stranieri sono arrivati qui in un anno, come non pensare che ci siano state infiltrazioni jihadiste? E poi 9.000 jihadisti giordani combattono in Siria e in Iraq», dice Oraib Rantawi, direttore dell’Istituto Al Quds per gli Studi politici. Segnali inquietanti ci sono stati a Zarqa e Maan, appena tre mesi fa, con le marce dei salafiti e bandiere dell’Is per le strade. Governo e servizi di sicurezza giordani dicono che la minaccia è esagerata, ma gli estremisti attirano seguaci con promesse di cambiamento, di una società più giusta mentre molti non trovano lavoro e si sentono abbandonati dalla classe dirigente filo-occidentale. Il sovrano hashemita, il 43° discendente del profeta Maometto, affronta i giorni più difficili del suo regno.