il Fatto Quotidiano, 4 febbraio 2015
Ma chi è Stefano Taché, citato da Mattarella nel suo discorso? Breve storia del bambino ucciso nell’attentato terroristico alla Sinagoga di Roma, il 9 ottobre 1982
“Un solo nome, Stefano Taché”, ucciso a 2 anni nell’attentato terroristico alla Sinagoga di Roma, nel 1982. Sergio Mattarella avvia e concentra la parte internazionale (2 sulle 9 pagine totali) del discorso in Parlamento con il nome della piccola vittima di 33 anni fa. Il cuore del suo ricordo e tributo è: “Era un nostro bambino, un bambino italiano”. Era uno di noi, colpito indiscriminatamente al di là della sua presenza nel tempio sul lungotevere romano, della sua appartenenza alla comunità ebraica.
Stefano Gaj Taché fu l’unico a morire nell’assalto del commando palestinese che la mattina del 9 ottobre 1982 entrò in azione con bombe a mano e mitra, ferendo altre 37 persone. Ieri la comunità del ghetto ha ringraziato “commossa” il presidente per le parole che di certo offrono un avvio ampiamente positivo nei rapporti tra i circa 35mila ebrei italiani e il Quirinale, in tempi dove le comunità legate a Israele si sentono sotto minaccia dei jihadisti in Europa, e in tanti prendono in considerazione l’opzione di trasferirsi sulla sponda orientale del Mediterraneo. Proprio la ferocia del terrorismo islamico è il punto successivo di Mattarella, che parla di lotta al terrorismo senza termini cruenti, ma non fa cenno specifico alle condizioni delle popolazioni del mondo arabo in un discorso dove i suoi “amici” democristiani rilevano la costante presenza di Moro, ma certo non il filo-arabismo che ha contraddistinto la politica estera di ampie correnti della Dc. Mattarella finisce per non fare un solo nome proprio, ma anche quelli “obbligati” dei marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, divenuti ormai la “firma” di una vicenda che si trascina da oltre 3 anni.
E poi altri tre nomi: padre Paolo Dall’Oglio, Giovanni Lo Porto e Ignazio Scaravilli, tre italiani in “terre martoriate” (il religioso in Siria, probabilmente detenuto dall’Isis; il secondo in Pakistan e il terzo recentemente sequestrato in Libia, ndr) di cui non si hanno notizie, ostaggi di più o meno lunga data in mano a gruppi che praticano la “violenza in nome della religione”, come detto nel passaggio che pure distingue il terrorismo dal fanatismo religioso, con doveroso omaggio all’opera di Papa Francesco. E all’approccio umanitario nelle crisi globali, verso le quali l’Unione europea deve essere “più attenta, impegnata e solidale”.
Con un accenno ben preciso al futuro della convivenza degli stranieri che arrivano in Italia e da qui in tutto il Vecchio continente, ovvero “l’affermazione dei diritti di cittadinanza rappresenta il consolidamento del grande spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia”, proprio perché “il sentimento della speranza ha caratterizzato l’Europa nel dopoguerra e alla caduta del muro di Berlino. Speranza di libertà e di ripresa dopo la guerra, speranza di affermazione di valori di democrazia dopo il 1989”, vellutato giudizio storico sulla fine dell’utopia comunista che Mattarella ha avuto modo di osservare nei suoi primi 73 anni di vita.