La Stampa, 4 febbraio 2015
Nell’indifferenza generale è iniziato a Bruxelles, tra Unione Europea e Stati Uniti, l’ottavo ciclo di trattative sul trattato commerciale Transatlantic Trade and Investment Partnership. Ecco di cosa parliamo e cosa ci possiamo guadagnare
Ieri moltissimi italiani hanno fatto la conoscenza del loro nuovo Presidente, insediatosi con un discorso dai toni elevati. Sempre ieri, con toni certo meno elevati, è iniziato a Bruxelles, tra Unione Europea e Stati Uniti, l’ottavo ciclo di trattative sul Ttip. La maggioranza degli europei e degli italiani non conosce affatto questa sigla ma dal Ttip potrebbero derivare effetti molto significativi sulle nostre capacità di crescita, sui nostri stili di vita.
Il Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership) non è un semplice trattato commerciale bensì un «partenariato», un’associazione più profonda che riguarda anche gli investimenti e vuole abolire, oltre ai dazi doganali, ogni barriera agli scambi euro-americani in nome del mutuo vantaggio e della crescita. Nel 2013 si sono svolti i primi contatti tecnici, tenuti segreti dalla Commissione europea.
Il ciclo di trattative iniziate lunedì, finalmente alla luce del sole, potrebbe risultare decisivo per la conclusione di un primo accordo entro il 2015, anche se la sua ratifica, in Europa come in America, si presenta irta di difficoltà.
Dalla tecnica, infatti, ci si è spostati alla politica. Per gli oppositori, Ttip è sinonimo di sudditanza di Bruxelles nei confronti di Washington, di europei costretti a mangiare controvoglia carne americana allevata con i mangimi agli ormoni, di farine a base di cereali Ogm, geneticamente modificati dalle multinazionali americane. Queste, dal canto loro, «si mangerebbero» le migliori industrie europee grazie alla loro maggiore forza finanziaria. Comitati «stop Ttip», legati soprattutto a organizzazioni agricole, hanno realizzato una grande raccolta europea di firme contro il trattato. Se le proteste annunciate si realizzeranno davvero, oggi su una piazza di Bruxelles sarà innalzato un grande «cavallo di Troia»: come il cavallo per Troia dell’Iliade, infatti, il Ttip sarebbe lo strumento per far cadere, con l’inganno, la cittadella economica e politica europea.
È veramente così? Di certo la segretezza delle trattative è stata un grave errore, le obiezioni di base non sono affatto infondate e vanno affrontate apertamente. Per ora, però, il pericolo Ttip non sembra proprio esserci: un accordo internazionale non può annullare i regolamenti interni europei, quindi su ormoni e Ogm tutto resta come prima. Nel frattempo i francesi hanno fatto escludere dal trattato il settore culturale, che a loro sta molto a cuore, e l’Ue ha concluso un analogo trattato con il Canada che ha introdotto la difesa dei marchi delle zone d’origine dei prodotti agricoli come richiesto dagli europei. Gli americani vorrebbero affidare a tribunali privati la soluzione delle controversie tra Stati e imprese ma le posizioni sembrano flessibili e non si è al muro contro muro.
Il rifiuto del Ttip, insomma, non sembra, per ora, la «linea del Piave» della libertà economica dell’Europa; il trattato può invece trasformarsi nella base di una ripartenza della sua economia bloccata. Proprio ieri il presidente Obama ha proposto la tassazione dei profitti conseguiti all’estero dalle multinazionali americane, un tema sul quale, dopo discussioni, la politica europea non ha concluso nulla: si potrebbe proporre una tassazione congiunta euro-americana delle imposte evase dalle imprese americane nell’Ue. Centinaia di miliardi di euro potrebbero così essere versati a Bruxelles e contribuire alla crescita europea.
In sostanza, in questo come in altri campi, l’Europa non può dire soltanto dei no: a Est aumentano i rumori della guerra civile ucraina, a Sud ci sono i volontari islamici dell’Isis. Senza un progetto economico-politico, la ripresa europea – quella vera – rimarrà una chimera e la stessa identità europea sarà a rischio.